Tra i santi che vengono celebrati il 18 di novembre, si ricorda anche Santa Filippina Rosa Duchesne. Nata in una famiglia di Grenoble, nell’agosto del 1769, era figlia di un avvocato, Pierre Francois il quale aveva coltivato e venerato le idee di Voltaire e aveva praticato a lungo la politica, abbandonandola deluso dalla proclamazione di Napoleone come console a vita. La madre, aveva a sua volta consacrato la sua vita alla famiglia e alla chiesa. Una straordinaria combinazione che permise alla bambina di crescere dando vita ad una felice sintesi tra il carattere forte e volitivo del padre, spesso al limite della testardaggine e dell’ostinazione, e l’inclinazione alla riflessione mistica e il carattere caritatevole e altruista della madre.Proprio l’esempio della madre caratterizzò con grande forza la sua infanzia, tanto da guardare con grande attenzione ai racconti riguardanti la vita missionaria. Già a otto anni Filippina iniziò a desiderare una vita da missionaria, in particolare in America, al fine di evangelizzare i nativi. Entrata in contatto con i religiosi, nonostante l’accentuato anticlericalismo del padre, fu da questi educata. I suoi studi dalle Visitandine di Sainte-Maried’en-Haut, nella città di Grenoble, furono però interrotti dalla chiusura di chiese e conventi decisa dai rivoluzionari. Chiusura alla quale decise di reagire impegnandosi nell’assistenza ai poveri, o recandosi nelle prigioni per soccorrere coloro che erano stati privati della libertà, in attesa del ritorno alla normalità dopo la bufera. Il suo carattere, del resto, lo aveva già mostrato quando il padre aveva deciso di trovarle un buon partito e di di sistemarla, incontrando il deciso rifiuto della ragazza.Finalmente, nel 1801, la persecuzione terminò per effetto del concordato tra la Francia e la Santa Sede, grazie al quale le comunità religiose poterono riacquistare la libertà e tornare a mostrarsi alla luce del sole. Di fronte alla novità, Filippina decise allora di impegnarsi per far rinascere il vecchio monastero di Sainte-Marie-d’en-Haut, sia materialmente che come comunità, con risultati mai pari allo sforzo profuso. Quando perciò venne in contatto con con la società del Sacro Cuore, che era stata fondata nel corso del 1800 da Maddalena Sofia Barat, decise di entrarne a far parte, insieme alle consorelle. Fattasi ancora una volta novizia, pronunciò i voti e cominciò a pensare di nuovo a un vecchio sogno coltivato da bambina, quello di andare in America del Nord a evangelizzare i nativi. Filippina chiese alla madre Barat di appoggiarne i suoi piani. La sua superiora le rispose chiedendole pazienza, ottenendola per i successivi dodici anni. Tanti ne sarebbero occorsi, infatti a Filippina, prima di vedere il sogno diventare realtà. Ottenuti i voti religiosi all’età di trentacinque anni, non aveva mai perso la speranza di partire, scontrandosi però proprio con il volere di madre Barat, la quale conoscendone i pregi e apprezzandola molto, avrebbe voluto farne la sua personale collaboratrice, in veste di segretaria generale della Congregazione, trattenendola perciò in patria.



Le insistenze di Filippina, però, riuscirono infine a convincerla che non era giusto negarle il sogno tanto a lungo coltivato, acconsentendo perciò a lasciarla partire per l’America del Nord. Arrivata alla soglia dei cinquant’anni, Filippina continuava del resto ad avere lo stesso entusiasmo coltivato nell’adolescenza e questa era la migliore garanzia possibile per la missione che aveva scelto da sempre. Dopo un viaggio lungo ed estremamente avventuroso, insieme a quattro consorelle, durato ben cinque mesi, la donna riuscì infine ad arrivare alla destinazione. Decise di stabilirsi in una piccola comunità di suore di stanza nella Louisiana, iniziando da una capanna di tronchi e in mezzo all’estrema povertà. 



Da quei primi giorni passarono ben ventidue anni di duro lavoro missionario, in mezzo a una popolazione di origine francese che necessitava di tutto, non solo di cure per l’anima. Un periodo lungo e proficuo, nel corso del quale dette vita a una alacre opera di incessante evangelizzazione ed educazione. I quali consentirono la grande crescita della Società del Sacro Cuore. Lasciando allo stesso tempo segni sul corpo di Filippina, tanto da renderla invalida. Una invalidità che però non le impedì di pensare a una nuova e ancora più grande missione, quella tesa a varcare la frontiera con i nativi, al fine di portare anche a loro la parola di Dio. Il suo desiderio fu accontentato quando ormai aveva varcato la soglia dei settanta anni, riuscendo a entrare in una spedizione di carattere missionario che aveva come meta una riserva di indiani Potawatomi. Proprio per loro fu perciò fondata la scuola di Sugar Creek, nel Kansas. Un’opera alla quale, però, Filippina Rosa non riuscì a dare il consueto aiuto, in quanto le sue condizioni di salute erano ormai in costante peggioramento. Dopo un solo anno, le consorelle decisero di conseguenza di farla tornare indietro. Tornata in Lousiana, si dedicò allora a rattoppare vestiti spendendosi allo stesso tempo nella preghiera, una vita che sarebbe durata ancora dieci anni. La morte la colse infatti il 18 novembre del 1852, quando era ormai stremata. La sua beatificazione, a opera di Pio XI nel 1929, è stata poi seguita dalla canonizzazione nel 1988, sotto Giovanni Paolo II.

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