Una premessa: il caso di cui parleremo nelle prossime righe è di secondarissima importanza, montato, senza nesun senso delle proporzioni, per la solita ottusità di media affamati di dietrologie. 

Il “caso” è questo: a Dario Fo sarebbe stata negato l’Auditorium di via della Conciliazione per una rappresentazione prevista per il 18 gennaio prossimo, a ricordo della moglie Franca Rame. In programma c’era uno spettacolo su testo scritto dalla Rame stessa In fuga dal Senato, in cui raccontava la sua esperienza di tre anni come parlamentare, eletta nelle file dell’Idv di Di Pietro, sino alle dimissioni irrevocabili, per disgusto della vita sperimentata nel palazzo, nel gennaio 2008. Scrive nel testo la Rame: “Vi dico la verità, pur avendo visto spesso in televisione servizi sui ‘disordini’ nelle due aule, trovarcisi in mezzo è di gran lunga più stomachevole. Avevo una mia idea sul Senato, be’, ho dovuto cambiarla: una massa di rozzi pronti a tutto”. Insomma un libro sull’antipolitica da parte di una pasionaria delle sinistra italiana.



Ebbene, nei giorni scorsi a Dario Fo sarebbe stato comunicato che l’Auditorium aveva cambiato programmi e che quella data era occupata da un altro spettacolo. Al che l’attore ha scritto un comunicato in cui ha denunciato “una censura” da parte del Vaticano, da cui la struttura dipende. «In realtà lo spettacolo non è stato annullato», ha spiegato ieri Valerio Toniolo, amministratore delegato dell’Auditorium della Conciliazione, «perché non era mai stata data una conferma, e questo rientra nelle libere scelte di programmazione del nostro teatro. Il teatro ha il diritto e la possibilità di stabilire il proprio calendario in base alla propria attività artistica, nel modo che ritiene migliore». Ineccepibile come ragionamento, anche se da un responsabile di una struttura come questa ci si aspetterebbe un po’ più di scaltrezza: se a personaggi come Dario Fo si danno mezze promesse, è sempre meglio presentarsi con motivazioni valide e non così generiche nel momento in cui ci si ripensa. Perché altrimenti il boomerang mediatico è automatico e inevitabile. Com’è puntualmente avvenuto. Fo è da sempre abilissimo nel cavalcare polemiche di questo tipo che portano alla fine acqua al suo mulino: del resto, lui stesso ha candidamente ammesso di aver ricevuto un regalo, perché questa polemica accende curiosità e interesse per uno spettacolo che forse non aveva un grande appeal.



Ma nel suo comunicato Dario Fo, con la furbizia che lo contraddistingue, tocca anche un altro punto e contrappone la chiesa di Papa Francesco a quest’altra burocrazia ecclesiastica ferma a logiche – sono parole sue – «da guerra fredda».  

Scrive Dario Fo: «Come può una Chiesa continuare con gli ostruzionismi da guerra fredda che in Italia abbiamo subito nell’ultimo mezzo secolo, ancora con la censura e il divieto? E ciò significa buttare un’ombra lunga e grigia sullo splendore e la gioia che Papa Francesco ci sta regalando». 

Dicendo questo, pur in modo del tutto strumentale, Fo tocca un punto vero. Papa Francesco ha impresso un’accelerazione al modo di porsi della chiesa rispetto al mondo. È un papa che non ha il problema dei “nemici”; che parla con tutti; che apre a tutti, con una libertà che spiazza continuamente chi vive dentro i soliti vecchi schemi che contrappongono la chiesa e il mondo moderno. Dario Fo è un uomo che in quei vecchi schemi si è sempre trovato benissimo, tant’è vero che quando gliene è stata offerta ancora una volta l’occasione, come nel caso di questa polemica, non se l’è lasciata sfuggire. Ma Dario Fo è uno che si è anche accorto che nella Chiesa di oggi c’è un uomo che «ci sta regalando splendore e gioia». Parole nella loro formulazione nient’affatto banali: splendore e gioia. Parole che documentano quanto papa Francesco stia sorprendendo gli uomini del nostro tempo. Se vogliamo trattenere qualcosa da questa inutile polemica, tratteniamo queste parole.