“È la scintilla di un incendio che si espanderà in tutta Italia, adesso devono essere i sindacati generali a diffondere le fiamme nelle altre città”: così si è espresso ieri Andrea Gatto, sindacalista di Faisa/Cisal e leader dello sciopero che da giorni sta paralizzando Genova. Come si sa, i lavoratori dell’azienda comunale dei trasporti hanno dichiarato guerra aperta a ogni ipotesi di privatizzazione della loro società, con uno sciopero selvaggio in atto da giorni. Tutto questo proprio mentre il governo sta cercando di far partire un progetto di dismissioni di aziende pubbliche seppur molto ridotto. A Genova ieri è intervenuto anche Beppe Grillo, schierandosi a fianco dei lavoratori e dicendo come nessuno debba arrogarsi il diritto di vendere ai privati aziende come le autostrade, il gas, l’acqua, i trasporti. Secondo Giuliano Cazzola, responsabile welfare di Scelta Civica contattato da ilsussidiario.net, siamo davanti a un ovvio tentativo di difendere il proprio interesse particolaristico trasformandolo in una battaglia contro lo Stato.
Le privatizzazioni sono un argomento del giorno, da tempo. Eppure ogni volta che se ne fa cenno i lavoratori pubblici si scagliano contro. È giusto dire che si fanno senza tenere conto dei lavoratori?
Non è una novità quanto sta succedendo in questi giorni. Quel tipo di lavoratori, come quelli di Genova, si trova in una condizione ottimale. La loro azienda è ancora una municipalizzata oppure una società per azioni a capitale pubblico, per cui si trovano ad avere e il meglio dei rapporti del lavoro pubblico e il meglio di quello privato.
Una mentalità dunque particolaristica, forse eredità di un passato che in Italia non tramonta mai?
Diciamo che hanno le garanzie del pubblico e la snellezza dei rapporti privati, anche se ovviamente non essendoci oggi più i soldi per gli enti locali non sono più neanche i tempi d’oro di una volta. Adesso queste aziende sono in difficoltà e non sono più generose come una volta.
Appunto. Eppure di fronte all’ipotesi di privatizzazione i lavoratori di una azienda sull’orlo del fallimento si sono opposti energicamente.
Siamo davanti a quell’area che, come con il referendum sull’acqua, contro la privatizzazione ha trovato un grande sostegno e una grande visibilità. Io non credo che il governo abbia intenzione di privatizzare più di tanto, si tratta di piccole quote dell’Eni e di altre realtà. Non esiste una ipotesi di privatizzazione generale. Però non c’è dubbio che privatizzare la catena dei trasporti significa avere trasporti più efficienti, significa far lavorare più personale, significa un bene al servizio.
Si parla di “incendiare l’Italia” su queste ipotesi di privatizzazioni.
Ci sono questioni che riguardano lavoratori dipendenti privati a cui viene detto: se la prendano con il padrone o con il governo. Quando invece ci sono questioni che riguardano dipendenti pubblici o parapubblici, queste loro sofferenze diventano un attacco alle riforme della cosa pubblica in tutte le sue espressioni. Si attacca la riforma sanitaria, quella della scuola pubblica e poi anche il trasporto pubblico. Gli autobus possono funzionare anche se chi guida appartiene a una azienda privata.
Ieri Grillo si è unito ai manifestanti dando loro tutto il suo supporto. C’è il rischio che una battaglia del lavoro venga sfruttata a fini politici?
Ovviamente dal punto di vista politico tutto quello che porta consenso viene sfruttato. Si confonde l’interesse pubblico con la proprietà dello Stato quando in realtà non è così. L’interesse pubblico può avere canali diversi da quelli dello Stato.
In conclusione, lei come immagina proseguirà questo scontro?
Lo immagino appunto uno scontro con scarse possibilità di sviluppo utile, ma tutto questo è un quadro dello sfascio in cui si trova oggi la Repubblica italiana.