“Se io fossi stato al posto di Napolitano avrei invitato i magistrati a venire al Quirinale e avrei detto loro ciò che ritenevo opportuno dire. Un presidente della Repubblica non ha l’obbligo di dire ai pm tutto ciò di cui è a conoscenza, perché non può essere perseguito per falsa testimonianza”. Ad affermarlo è Giovanni Pellegrino, compagno di corrente di Napolitano dagli anni del Pci ed ex presidente della commissione bicamerale d’inchiesta sulle stragi. Il presidente Napolitano ha scritto una lettera nella quale afferma che è disponibile a testimoniare di fronte ai giudici sulla trattativa Stato-mafia, ma chiede che “si valuti ulteriormente l’utilità del reale contributo che questa testimonianza potrebbe dare, tenuto conto delle limitate conoscenze sui fatti di cui al capitolato di prova”.



Pellegrino, che cosa ne pensa di questa vicenda dell’invito a Napolitano a comparire come testimone?

La deposizione del presidente della Repubblica come teste è prevista dal Codice di procedura penale, anche se questa norma non è mai stata applicata. A Cossiga fu chiesto di acconsentire a essere sentito in modo informale. La commissione d’inchiesta sul terrorismo e sulle stragi chiese inoltre di poter sentire Scalfaro sul caso Moro, dopo che il presidente della Repubblica nel ventennale della sua morte dichiarò che gli assassini dello statista Dc erano in galera, ma che probabilmente erano stati arrestati i colonnelli ma non i generali.



Lei che cosa avrebbe fatto al posto di Napolitano?

Se io fossi stato al posto di Napolitano avrei invitato i magistrati a venire al Quirinale e avrei detto loro ciò che ritenevo opportuno dire. Ma se fossi stato nei pm non avrei inserito Napolitano tra i testimoni, e se fossi stato nel giudice non lo avrei accettato nella lista.

Perché?

La testimonianza del presidente della Repubblica stride con il sistema istituzionale complessivo. Normalmente un testimone giura di dire la verità, e se chi lo sta ascoltando ha la sensazione che stia mentendo lo arresta in flagranza come falso testimone. Nel caso di Napolitano ciò non può avvenire, in quanto il presidente della Repubblica può essere incriminato solo per alto tradimento e attentato alla Costituzione. Sentirlo quindi come testimone mi sembra quindi abbastanza inutile, perché lui potrà dire quello che vuole e se i giudici penseranno che non stia dicendo la verità non gli potranno fare niente.



Secondo lei che cosa sa Napolitano della vicenda trattativa?

Questo bisognerebbe chiederlo al lui, tutt’al più le posso dire la mia opinione.

Prego…

Il teorema Buscetta, che diventò poi la matrice dell’impianto accusatorio del maxiprocesso, prevedeva che i capimafia rispondessero dei delitti eccellenti anche se nel momento in cui erano commessi stavano giocando a carte con il maresciallo dei carabinieri. La mafia fu descritta dai pm come un’organizzazione verticistica, nella quale gli omicidi eccellenti non erano commessi se non su ordine della cupola.

 

Quali furono le conseguenze?

La cupola fu chiamata a rispondere di tutti gli omicidi eccellenti anche quando i suoi componenti avevano dei buoni alibi. Il cristallizzarsi di questo principi ebbe effetti devastanti nella lotta a Cosa Nostra. La mafia era convinta che le protezioni politiche di cui godeva l’avrebbero messa al riparo da questo epilogo, ma non fu così e si vendicò assassinando Salvo Lima.

 

Fu dunque questo l’oggetto della trattativa Stato-mafia?

No. Probabilmente l’oggetto della cosiddetta “trattativa” fu un’attività d’intelligence per cercare di capire che cosa ci fosse dietro la strategia stragista dei corleonesi. Questa strategia li portò al disastro, in quanto in uno scontro militare con lo Stato la mafia non poteva vincere. Di fronte a una scelta così incomprensibile una serie di forze investigative cercarono di stabilire contatti con Cosa Nostra per capire che cosa ci fosse dietro.

 

I contatti avvennero?

Sì, e di fatto gli agenti domandarono ai corleonesi che cosa volessero ottenere con questi eccidi che non avrebbero portato sicuramente a niente.

 

Fu una vera trattativa?

Non esiste forza di polizia che non svolga attività di questo genere. Il processo sulla trattativa Stato-mafia può quindi portare a perseguire inquadrando come reato delle cose che furono compiute nelle forme del normale adempimento del dovere verso lo Stato.

 

(Pietro Vernizzi)