Sono fortemente in imbarazzo. Ho la spiacevole sensazione, per una che si serve e vive di parole, di non riuscire a trovarne di adeguate per commentare il testo consegnato simbolicamente domenica scorsa da Papa Francesco alla Chiesa e presentato oggi in pompa magna in Vaticano. Il fatto è che dopo essermi bevuta le 224 pagine della versione rilegata, 134 in quella digitale data ai giornalisti, (affinché per una volta fossero adeguatamente preparati), ho maturato la convinzione che sia meglio lasciar decantare le reazioni e godere della semplicità verbale e dell’inoppugnabilità logica con cui Bergoglio segna il suo magistero. Ogni tentativo di mediazione rischia di complicare il senso di un documento che è maturato in maniera personalissima nella testa e nel cuore del Papa. 



Si tratta senza dubbio di un testo a sole due mani, vale a dire tutto impregnato dello stile Francesco, quello che abbiamo imparato a “riconoscere” e ad amare in questi mesi, commisurato al suo profilo pastorale, espressione verace del suo slancio evangelico e della sua profondità teologica. Già nel titolo Evangelii gaudium, fa intuire una visione del mondo, della vita, ma soprattutto della fede, francescana e rivoluzionaria. Alegrìa del Evangelico era l’incipit della versione originale in castigliano, quella uscita dalla penna del Papa, un’espressione che rivela più della traduzione latina la freschezza di paragrafi e capitoli in cui emerge con forza l’idea di Chiesa di Bergoglio, insieme a Bergoglio stesso. 



C’è dentro lui, la sua persona, la sua esperienza religiosa, il suo cristianesimo positivo, creativo, dialogante, straordinariamente missionario e attraente. Immergersi nel ritmo incalzante e fluido dell’esortazione è come partecipare ad una delle celebrazioni in Santa Marta, in un ascolto prolungato di omelie che si susseguono senza annoiare mai. A memoria non ricordo un documento magisteriale che abbia la stessa scioltezza, che possa essere letto senza fatica dalla mia donna delle pulizie al mio amico teologo, passando per mio nipote liceale. Un documento per tutti, per ogni cristiano, per ogni battezzato, come direbbe Bergoglio. Un documento che è come il cristianesimo di Francesco: semplice. Non mancano i testi biblici, i riferimenti colti, le citazioni di padri della Chiesa e teologi della risma dell’Aquinate, ma tutto è servito da una comunicazione appassionata, audace, chiara, poco preoccupata dell’esito, fiduciosa e forte del desiderio di partecipare la bellezza e la grandezza dell’esperienza cristiana. 



Il risultato è un coinvolgimento totale: si viene lentamente catturati dall’incedere colloquiale e meditativo di questo Papa che parla in prima persona, avanza persino dubbi e perplessità, si espone nelle sue ossessioni, affronta con sincerità limiti e fragilità personali. 

L’Esortazione rimane un vero e proprio documento dottrinale, anzi come è stato già scritto “la regola pastorale” di Bergoglio, eppure non perde la potenzialità sovversiva. Rivoluzionario? è la domanda ricorrente negli ultimi mesi. Non so se si possa arrivare a tanto. Sicuramente da oggi si può e si deve, senza alcuna prudenza, definirlo un Papa riformista. Tutta l’Evangelii gaudium è attraversata da un’ansia programmatica, che incoraggia linee e modalità concretissime di rinnovamento della Chiesa. La parola d’ordine per “i semplici soldati dello squadrone che continua a combattere” (Evg n. 96), di cui Francesco è il generale dalla strategia sicura, è “uscire fuori”. 

Fuori dalla parrocchie asfittiche, fuori dal clericalismo velenoso, fuori dai moralismi indottrinanti, fuori dal “grigio pragmatismo” della quotidianità ecclesiale, fuori dagli schemi noiosi, fuori dalla tristezza individualistica, fuori da paure e tentennamenti, fuori dai condizionamenti istituzionali, fuori da un passato comodo e svilito, fuori da circoli elitari, fuori da una Chiesa “rinchiusa da un groviglio di ossessioni e procedimenti”. 

Ma anche “uscire verso”. Verso le periferie, verso il fango e le ferite del mondo, verso “una moltitudine affamata” di Cristo, verso gli esclusi e i lontani, verso gli scarti e i dimenticati, verso i poveri “categoria teologica prima che sociologica” (Evg n. 198). Se davvero di rivoluzione si deve parlare è quella della tenerezza l’unica della quale Francesco vuole essere interprete. Quella in cui l’annuncio del Vangelo risponde al diritto proprio di ogni uomo: partecipare ad un “banchetto desiderabile”, essere oggetto della Misericordia di Dio, destinatario dell’amicizia di Cristo, terminale ultimo del suo amore infinito. Il Vangelo è per tutti, grida Francesco. L’obbligo morale del cristiano è portare la gioia dell’incontro con Gesù al mondo, mettersi in “stato permanente di missione”. Unica condizione la conversione, un dinamismo di “uscita” da se stessi, verso Dio e gli altri. Nella certezza che il primato è della Grazia e l’iniziativa appartiene sempre a Dio. 

Non so se Francesco riuscirà a piegare la Chiesa recalcitrante al suo disegno profetico ed entusiasmante, ma leggere l’Esortazione apostolica è iniziare a mettersi dalla sua parte. Per questo invito a farlo, senza mediazioni o interpretazioni inutili. Leggere l’Evangelii gaudium è come leggere lui. E ne vale la pena.     

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