L’altro giorno L’Espresso dava doviziosamente notizia, purtroppo trascurata da altri media, di un’innovazione rivoluzionaria nella legislazione civile spagnola: in una progressiva e sicura avanzata verso la libertà dell’individuo, in tempi di crisi e necessarie spending review, anche personali, il governo infatti ha deciso di privatizzare nozze e divorzi.
Scordatevi con un sospiro di sollievo la fila in comune per i certificati e l’assegnazione di un consigliere per il giorno del sì; come le parcelle esose degli avvocati. Un notaio, scelto liberamente magari tra gli amici, due firme, 95 euro e passa la paura. Sì, perché contravvenendo alle regole del liberalismo economico a tanto ha fissato lo Stato il dovuto per le pratiche: meglio sarebbe, nota l’articolista sagace, la libera concorrenza, che premi l’abilità e il gradimento dei funzionari. Ma insomma, è già un bel risparmio, di tempo e denaro, che poi vanno insieme, come dice il proverbio.
Chissà come mai in Italia non ci hanno ancora pensato: si libererebbero da scartoffie inutili i palazzi di giustizia, si aprirebbero occasioni di lavoro impensate per l’Ordine dei notai, che vedrebbe raddoppiare i suoi iscritti, dato il giro d’affari imponente. Solo l’altr’anno in Spagna si sono sposati in 168mila e divorziati in 63mila, ci vogliono all’incirca 8mila notai, le facoltà spagnole ne hanno prodotti solo 4mila, si facciano avanti i giovani.
Il ragionamento non fa una piega: liberalizzare conviene, sempre. Non c’è una parola nel pezzo citato che rifletta su questo incremento progressivo dei divorzi, su questo decadimento di tenuta, quest’ansia di renderli sempre più svelti e indolori, modello star americane. Non una domanda sul perché mai tanta fretta a sposarsi, per poi pretendere di poter divorziare in tre mesi, con due firmette in calce. Non un interrogativo sul perché del matrimonio stesso. È proprio necessario? Se è un contratto, e solo un contratto, basta davvero un registro delle coppie, di qualsivoglia tipo, e sai che risparmio in ricevimento e bomboniere.
Sposarsi è senz’altro il retaggio di un mondo passato: e invece, guarda un po’, tutti ma proprio tutti i paesi del mondo fondano ancora la società sulla famiglia, cioè su coppie e relativa prole regolarmente sposate. Ce ne vuole, per svincolarsi dai lacci di un tradizionalismo religioso che ha fatto comodo anche ai più laici sistemi di potere per meglio ingabbiare e controllare i propri cittadini.
Oppure, l’anima gemella è una tendenza umana diffusa, direi universale; come comune è l’unione destinata almeno in partenza a un per sempre, il desiderio di fecondità, e quindi la relativa tutela per i figli garantita da un vincolo.
Gli spagnoli ci hanno pensato, ai figli: c’è ancora l’impiccio della prole, a porre paletti per le giovani coppie, a meno che scelgano di non averne; il matrimonio fast vale solo se non ci sono bambini o figli disabili. Qualcuno se ne dovrà pur occupare, nel caso. Tocca assecondare questa disposizione dell’uomo, che si ostina a chiedere riconoscimenti pubblici per nobilitare il proprio mero istinto sessuale, e l’inghippo di relative nascite; si educheranno col tempo le nuove generazioni a liberarsi da questi legami sorpassati.
In realtà, sappiamo bene che ci si sposa per interesse, per infatuazione passeggera, perché fa piacere organizzare un banchetto e stilare una rilevante lista di nozze. Con sano realismo, appunto, in alcuni paesi islamici vige un matrimonio di scopo, che può durare per un tempo stabilito, volto a limitare gli inconvenienti di una promiscuità esagerata, a legalizzare la poligamia.
Soltanto i cattolici, sempre meno peraltro, si incaponiscono a raccontare un’altra realtà. Che l’uomo e la donna sono fatti per l’incontro, l’unità in una sola carne, la costruzione di una famiglia finalizzata a sostenere la persona e realizzare la speranza, donando il futuro al mondo. Solo i cattolici promettono per sempre, e davanti al “notaio” più attento e capace di ricordare − Dio. Solo i cattolici credono che il divorzio sia una lacerazione, per tutti, non solo per chi è religioso, anche se non ci sono bambini a soffrire, una ferita che apre alla solitudine e alla delusione, alla sfiducia negli uomini e in se stessi. Un atto di viltà, perché le scelte si fanno seriamente, e ponderando i rischi; e poi con baldanza si seguono, affrontando ostacoli e sacrifici.
Ci si guadagna? Sì, ci si guadagna, è provato anche dalla sociologia e psicologia à la page. Lasciate stare i casi patologici, quando le incomprensioni sfociano in violenza o esaurimenti nervosi. In due, per tutta la vita, si è più forti, più sicuri, più realizzati. Non basta un firma, e 95 euro, per dimenticare. L’infelicità costa di più.