L’odissea del processo di Perugia continua. Ieri Raffaele Sollecito si è presentato spontaneamente in aula per rilasciare una deposizione nel quale ha professato la propria innocenza: “Non sono un assassino. Contro di me una persecuzione senza alcun senso”. Sempre nella giornata di ieri sono stati resi noti i risultati della perizia dei Ris di Roma sulla traccia di sangue rinvenuta sul coltello ritrovato a casa di Sollecito. Il dna corrisponde a quello di Amanda Knox, non alla vittima Meredith Kercher, né all’unico colpevole per il momento individuato, ovvero Rudi Guede (condannato in via definitiva a 16 anni). Per fare il punto sul processo ilsussisiario.net ha contattato il giornalista de lanazione.it, Roberto Davide Papini, in aula per seguire gli sviluppi.



Lei oggi era in aula a Firenze per seguire il “Processo Meredith”. A che punto siamo arrivati?

Si può dire che non siamo punto e a capo. Oggi la giornata in aula ha visto due momenti importanti: in primis la presentazione dei risultati sulla perizia della traccia trovata sul coltello (che per l’accusa sarebbe l’arma del delitto) rinvenuto a casa di Raffaele Sollecito, e in secondo luogo la deposizione spontanea di Sollecito stesso.



Andiamo per gradi. I risultati hanno appunto confermato che la traccia di sangue appartiene ad Amanda Knox.

Esatto, quindi non appartiene né alla vittima Meredith Kercher, né a Rudy Guede che per il momento è l’unico condannato in via definitiva per l’omicidio.

La difesa e l’accusa come hanno letto i risultati?

Per entrambe le parti si tratta di un dato significativo. Per le difese si tratta di un fatto positivo e favorevole in quanto sostanzialmente dimostra che non essendoci alcuna traccia della vittima, il coltello non ha alcuna rilevanza. Il fatto che rechi il dna di Amanda è spiegabile con il fatto che visto che i due ragazzi stavano insieme, lei possa aver usato quel coltello lasciando le sue tracce.



Mentre per la parte civile?

La parte civile ha detto che è la prova che il coltello è stato in mano di Amanda, ma l’accusa in questi giorni non si è espressa. 

Per quanto riguarda invece la testimonianza di Sollecito?

In pratica Sollecito si è difeso attaccando: ha detto, in sintesi, di essere  una brava persona, di essere stato accusato sulla base di prove inesistenti e di aver subito una vera e propria persecuzione. Non ci sono stati colpi di scena, ma  le sue dichiarazioni e la perizia sono un passo in avanti verso, si spera, la definizione di una verità processuale di una vicenda che sta durando dal 2007.

Rudy Guede è l’unico condannato in via definitiva a 16 anni di reclusione per “concorso in omicidio”, ma se si parla di “concorso”… 

Questa è una questione logica. Ma in realtà Guede non ha mai parlato di altri e non ha mai detto nient’altro quindi è difficile capire effettivamente come siano andate le cose. A logica uno condannato “in concorso” deve averlo fatto con qualcuno. Un personaggio come Guede è difficile da decifrare, anche perché, ripeto, non ha voluto parlare. Non ha detto di aver visto nessuno sul luogo del delitto quindi è arduo partire da questa condanna per trovare una soluzione, in entrambi i sensi.

 

Ma oltre al coltello, quali altri elementi sarebbero dovuti essere considerati? Si era parlato del reggiseno di Meredith.

Sì, era stato trovato del dna sul triangolino di stoffa vicino al gancetto, ma i periti avevano poi smontato i risultati non ritenendola attendibile. Insomma, è una vicenda processuale piuttosto complessa fatta di analisi contestate. Si tratta di un processo indiziario, la “pistola fumante” non c’è e quindi la convinzioni della corte dovranno essere formate non su una prova regina (che comunque spesso manca), ma sulle ricostruzioni logiche portate dalla difesa e dall’accusa.

 

Si può parlare di errori negli indagini o per lo meno di manchevolezze? 

 Qualche lacuna ci sarà state, ma penso ci sia sempre. Penso alla famosa impronta della scarpa nel sangue attribuita inizialmente a Sollecito che in realtà apparteneva a Guede. È un caso intricato: ci sono state perizie che hanno parlato di errori nelle perizie precedenti per poi venire, loro stesse, contestate da altre parti che hanno dato un esito contrastante.  Io mi auguro che alla fine si arrivi a una verità processuale effettiva perché sennò questa vicenda rischia di andare avanti all’infinito e non sarebbe certo un bene.

 

La prossima udienza è fissata al 25 di novembre, mentre la sentenza dovrebbe essere il 10 gennaio. Amanda è a Seattle e lì rimarrà in ogni caso.

I colpi di scena sono sempre possibili, ma ricordiamo che anche in caso di condanna è protetta da una normativa sull’estradizione.

 

Ma il rischio che il tutto si concluda in un nulla di fatto è concreto?

 Non credo: da una parte o dall’altra si arriverà a una fine. Sarà dunque stabilito se ha avuto ragione il Primo grado di giudizio – che aveva  riconosciuto i due imputati colpevoli – o se ha avuto invece ragione l’Appello che li ha assolti. Poi, dopo, è sempre possibile un ulteriore ricorso in Cassazione, ma da qualche parte bisogna pur arrivare.

 

(Fabio Franchini)