Questa mattina all’alba al casello di san Gregorio, quello che apre l’accesso alla città di Catania a chi viene da Messina, c’erano più aderenti alle forze dell’ordine che aderenti al movimento dei “Forconi”. Come mai? E’ il segno di tante cose: dei danni arrecati dai manifestanti a tutti i siciliani due anni fa per una analoga protesta, dell’impegno assunto quest’anno con la Prefettura di Catania di non creare blocchi al traffico, della paura di un intervento della polizia molto meno tollerante di quello delle volte precedenti.



Ma l’effetto comunicazione è stato brillantemente raggiunto. In Sicilia, dopo la solita corsa all’accaparramento della benzina del fine settimana, il lunedì è trascorso tranquillo, ma i riflettori della stampa nazionale sono stati tutti accesi sulle ragioni dei malumori dei trasportatori. E così è bastato aggiungere un adeguato volantinaggio nelle piazza delle grandi città dell’isola e il consenso dei cittadini è stato conseguito. Già! Il consenso dei cittadini. Esso questa volta non ha avuto limiti territoriali e soprattutto è andato ben oltre le categorie sociali che in passato hanno guidato questo tipo di protesta. Questa è la vera novità di questa circostanza. Tutti, infatti, abbiamo ragionevoli motivi per condividere le ragioni di questo movimento pur prendendo le distanze dalle forme di contestazione che ha assunto finora. Perché? Perché questa protesta è quella dei più deboli e dei più fragili, dei meno tutelati e dei meno protetti: i piccoli. I piccoli artigiani, commercianti, produttori, autotrasportatori, i precari di ogni tipo, e poi, dulcis in fundo i disoccupati e i pensionati.



Così la protesta è esplosa a Torino, ormai capitale onoraria delle proteste violente. Ma dove la violenza non ha preso il sopravvento, lo sdegno e l’indignazione per una politica che è assente dal dramma della povera gente è viva e presente. Questo è il vero messaggio dei “Forconi”. Una protesta semplice perché fondata su richieste ineludibili e facili da comprendere, perché non mediata da organizzazioni professionali, sindacali e quant’altro. L’Italia, patria dei corpi intermenti, delle organizzazioni sociali e sindacali più variegate del mondo, dell’associazionismo più fantasioso e complesso che possa esistere, scopre che i piccoli, i poveri, quelli che non hanno voce hanno come unica speranza per farsi sentire quella di scendere in piazza attestandosi sul crinale della legalità, senza cedere al ricatto della violenza, scorciatoia senza uscita di qualunque pur legittima protesta. I manifestanti se la prendono ovviamente con la politica, ben sapendo che non possono sperare in nulla senza la politica, e la politica dorme sogni tranquilli perché sa che “da qui devono passare”! E così il tira e molla continua. Ma fino a quando?



Come tutti sappiamo, non vi è in natura un elastico che presto o tardi non sia soggetto a spezzarsi. Quando questo avverrà non lo sa nessuno, ma questa protesta se non sarà guidata, e soprattutto se non sarà capita, rischia di non essere più governata. Cosa è cambiato rispetto a due anni fa? Per le ragioni dei manifestanti ben poco. Per tutti noi la consapevolezza che la crisi si è aggravata e che non se ne vedono concrete possibilità di uscita. Questa protesta fa emergere, indubbiamente, un desiderio di protagonismo di tanti cittadini volto a migliorare le proprie condizioni di vita, per rendersi artefici di una effettiva capacità di incidere su di esse. Tale desiderio è assolutamente meritevole di attenzione. Esso, tuttavia, mostra il suo limite quando viene ridotto, più o meno consapevolmente, solo a ciò che dei problemi e delle questioni si crede di avere già afferrato e di potere perciò governare, spegnendo così lo slancio naturale ad un continuo e leale paragone con la realtà che non ne selezioni i fattori costitutivi. Ciò che servirebbe è invece un’apertura autentica a tutta la realtà, nel tentativo di giungere a quella sintesi di idealità e concretezza che si chiama “Bene comune”.

Ma pare che a causa della crisi non ne esista più un solo esemplare in commercio, anzi pare che se ne sia persa anche la memoria della sua passata esistenza. E dunque? Dopo la vittoria di Renzi possiamo affidarci alla sua rivoluzione, sperando soprattutto che non duri lo spazio di un mattino, anche perché la protesta dei “Forconi” proseguirà per tutta la settimana. Oppure non rimane che remare tutti nella stessa direzione, come anche coloro che protestano hanno fatto finora e siamo certi continueranno a fare, perché sappiamo che una politica che ignora il grido dei più piccoli non è in grado di tutelare neppure le pretese dei più grandi.