Tommy, un simpatico scimpanzé che vive serenamente con il suo proprietario (almeno così sostiene lui) potrebbe diventare la prima scimmia con un proprio stato giuridico come qualunque essere umano: andare a votare, difendersi in tribunale, prendersi le ferie e quant’altro. Non è uno scherzo: l’associazione animalista americana Nonhuman Rights Project ha fatto domanda a un tribunale di New York perché a Tommy venga riconosciuto lo status di personalità giuridica, “legal person”. Dietro alla volontà di mettere in cattività l’animale, c’è l’affermazione che gli scimpanzé siano in grado di badare a se stessi, vivere autonomamente e autodeterminarsi nelle proprie scelte di vita. Non solo loro: l’associazione ha intenzione di chiedere altrettanto per balene, delfini, elefanti. Paolo Carozza, giurista dell’università americana di Notre Dame (Indiana, Usa) contattato da ilsussidiario.net, sostiene che questa richiesta pone la domanda di chi può essere possessore dei diritti umani, perché l’uomo cioè abbia il diritto che siano riconosciuti: “E’ l’annichilamento del senso religioso. Non c’è nessuna dimensione dell’uomo nella storia dei diritti umani pari a quella del senso religioso, che riconosce la dignità inviolabile dell’uomo data dall’avere un destino irriducibile con gli aspetti materiali e ideologici. Se si elimina questo l’uomo è solo un animale e se ha diritti l’uomo li ha anche l’animale”.



Professore, ci sono stati casi analoghi in precedenza negli Stati Uniti o è la prima volta?

Non è la prima volta che ci sono precedenti giuridici dove i gruppi animalisti hanno chiesto diritti per gli animali. Forse la cosa che distingue questo caso è il fatto che, come viene descritto, esso si basa sulle capacità degli animali intesi come esseri autonomi, quindi presenta il tema di chi può essere possessore di diritti a certe capacità specifiche. Si pone cioè la domanda: perché l’uomo ha questi diritti? E’ dunque una riduzione della natura dell’uomo: non si afferma il diritto dell’animale, ma si riduce quello dell’uomo. 



Ci spieghi meglio questo passaggio.

Se l’uomo possiede diritti solo in virtù di cose molto minime come la capacità di fare scelte autonome, cose che può condividere con certi animali, allora questa è una visione molto ridotta dell’uomo: perché bisogna proteggere l’uomo con i diritti umani?

Non è da oggi che una certa mentalità considera l’uomo un animale fra gli altri animali.

Esattamente, la riduzione che si fa è proprio questa.

Una richiesta del genere un tribunale americano la può accogliere, è contemplata in qualche modo?

Facendo un paragone con il sistema giudiziario europeo, si tratterebbe di una domanda decentralizzata in prima istanza, non è una questione di diritto federale ma di uno stato singolo, in particolare quello di New York. Bisogna allora andare a vedere in quello stato quali diritti siano stati concessi in precedenza agli animali. Ci sono stati americani che in modo molto limitato hanno accolto richieste di riconoscimento di dritti per gli animali, ad esempio che essi vengano trattati in modo decente. Se sulla base di alcuni antecedenti nello stato di New York ci sono situazioni simili, allora io immagino che, seppur sia un caso estremo, questa domanda possa essere ammessa a giudizio. Nella maggior parte delle giurisdizioni americane non c’è dubbio che sarebbe rigettata dall’inizio perché non si presenta una domanda impossibile da riconoscere da parte della corte. Ma a New York non sarebbe inconcepibile ammettere una tale richiesta di riconoscimento.



 

Ma se io riconosco lo stato giuridico a un animale, mi aspetto poi che come tutti gli esseri umani questo animale applichi i suoi dritti, come andare a votare o difendersi a un processo. Non le sembra che questo renda la domanda fatta dall’associazione del tutto impraticabile?

Non esattamente, perché il diritto giudiziario prevede metodi per riconoscere la persona umana che ha bisogno necessariamente di essere tutelata o rappresentata da altri. Ad esempio un bambino o una persona che ha perso la salute mentale. Dunque questo non è necessariamente in contraddizione con la richiesta. Mi viene invece in mente quella che potrebbe essere una provocazione interessante, una cosa oggi poco conosciuta.

 

Quale?

 In passato in Europa, fino all’inizio del settecento, gli animali erano riconosciuti come portatori di diritti e di doveri. C’è infatti una storia poco conosciuta di processi contro animali per responsabilità penale, ad esempio topi che hanno mangiato il grano. Il fattore fa causa contro i topi e si fa un processo penale dove un avvocato difende i topi. Prima di distruggere i topi dunque bisognava fare un processo giuridico.

 

Perché accadeva questo?

A un primo livello c’è un certo parallelo con il caso della scimmia: gli animali riconosciuti dalla legge come portatori di diritti e doveri. D’altro canto avevamo a che fare con una concezione dell’universo morale assolutamente diversa da quella di oggi, basata sul fattore specifico dell’essere che pensa di essere autonomo (l’uomo), nell’auto-affermazione della sua vita. Invece nel modello medievale diritti e doveri erano “reali” come parte della creazione di Dio, nella quale ogni cosa aveva diritto a essere rispettata in quanto  creatura.

 

L’idea della natura che aveva San Francesco.

Esattamente. Oggi invece siamo davanti a una svolta che superficialmente sembra ripetere quel modello, invece si differenzia di 180 gradi. 

 

Tornando al suo giudizio iniziale, è giusto dunque dire che la perdita di una concezione cristiana dell’uomo e della natura porti a questo tipo di affermazioni come quella fatta dall’associazione animalista americana?

Sì, ma c’è un livello ancor più radicale. Si tratta dell’annichilimento del concetto di senso religioso. Non c’è nessuna dimensione dell’uomo nella storia dei diritti umani pari a quella del senso religioso, che riconosce la dignità inviolabile dell’uomo data dall’avere un destino irriducibile con gli aspetti materiali e ideologici. Se si elimina questo, l’uomo è solo un animale e se l’uomo ha diritti allora li ha anche l’animale.

(Paolo Vites)