Caro direttore,
Alcune migliaia di persone tengono in piedi la lotta rivoluzionaria contro i partiti e il Governo. Li chiamiamo forconi solo per dire di una cosa simile accaduta due anni fa in Sicilia. Allora procurò molti voti al M5S, e Grillo fece addirittura il bagno nello stretto di Messina. Adesso è proprio lui a chiedere alla polizia di partecipare alla rivolta, ma viene smentito dallo stesso sindacato di polizia che esclude la disobbedienza degli agenti.
Nelle attuali manifestazioni ci sono diverse presenze. In alcuni casi si esclude che siano spontanee manifestazioni di popolo, perché si vede la presenza di gruppi di destra. Ma ci sono anche centri sociali tradizionalmente di sinistra, ci sono scioperi di studenti, ci sono gli ultra del calcio, ci sono i camionisti. Lasciamo per un momento da parte le presenze organizzate. Prendiamo quello che dicono i manifestanti nelle interviste. Siamo disoccupati, siamo caricati dalle tasse ma non abbiamo aiuti, cerchiamo lavoro e non lo troviamo, noi giovani non abbiamo speranza, il costo della vita è cresciuto e le entrate si sono ridotte. Insomma, abbiamo il mostrarsi di una realtà veramente dolorosa per tanti italiani. Tantissime ragioni per essere arrabbiati e propensi a sacrificarsi pur di ottenere qualcosa.
Ma alla domanda “cosa vi proponete?”, la risposta è rivelatrice: dicono che il Governo deve dimettersi e che bisogna portare in Parlamento il popolo, senza i partiti. Che prospettiva si pone? Ricordiamo diversi moti rivoluzionari, dalla Comune di Parigi alla rivoluzione d’ottobre in Russia nel 1917. Ecco, in questa rivoluzione si formarono i soviet, ovvero le assemblee di popolo eleggevano dei loro delegati. Ma infine i soviet vennero lanciati alla presa del potere da Lenin. Lui arrivò dalla Svizzera dentro un vagone blindato di un treno, fornito dai tedeschi che volevano la caduta dello Zar. Questo esempio per ricordare che la lotta è comunque politica.
Eppure oggi abbiamo qualcosa di nuovo. Le rivolte di popolo ci sono state contro l’aristocrazia, e si compose il Terzo Stato, ovvero il potere alla borghesia. Ci sono state le rivolte come le cinque giornate di Milano, e Pellizza da Volpedo dipinse il famose “quarto stato” che doveva essere il popolo. Ma questo popolo divenne subito il proletariato, secondo la teoria marxista della lotta di classe. Insieme con le ideologie ci furono le utopie, si formarono i movimenti antisistema, che poi divennero circoli o villaggi comunitari, utopici. Adesso si ipotizza il popolo contro la politica, e questa è cosa nuova. Che futuro può avere questa prospettiva?
Io fra il ’68 e il ’75 avevo un movimento che si motivava in “servire il popolo”. Quando ne provocai lo scioglimento la mia questione era che non riuscivo a trovare il popolo. Consapevole che non è vero che la storia è storia di lotta di classe, e che il proletariato non è un soggetto della storia, ho poi anche compreso che non è popolo il cittadino anonimo della metropoli moderna. Al massimo questo cittadino può essere convocato alle primarie per approvare proposte nate in alto loco. Ma la mia domanda sul popolo ha continuato a proporsi. Fu in Chiesa che ritrovai il popolo, ovvero ritrovai il fattore che rende ragione di una possibilità di unità fra le persone. Ho ripreso a far politica percorrendo di nuovo l’idea di servire il popolo. La mia nuova concezione della politica è passata dall’evidenza che la ragione esistenziale non viene dalla politica, la quale è solo una parte, uno strumento per la convivenza, un servizio al popolo.
Dunque cosa è il popolo? Quella espressione operosa del fare insieme che viene dal riferimento originario per la propria vita. Nei non credenti è senso religioso o passione per l’uomo, mentre nei credenti è Presenza di Cristo, che diventa strada da seguire nella responsabilità e nella pace. Infine è popolo quella parte di gente che tenta di rispondere al proprio bisogno e capisce le strade da percorrere. Il popolo è soggetto che si pone come proposta alla politica. Ovvero che propone il modo con cui i responsabili della cosa pubblica possono aiutare il lavoro e la costruttività del popolo. Dunque non è popolo la rivoluzione o la ribellione, è popolo ciò che produce anche la politica. Ma infine è sempre con la politica che si amministra la cosa pubblica.
Pertanto gli attuali movimenti di piazza dovranno comunque diventare soggetti proponenti e trovare una politica che li riconosce. In genere il rischio è la demagogia, rimanendo preda di illusorie politiche destinate al fallimento. Oppure può esserci la vittoria di alcuni che hanno ben strumentalizzato i movimenti. Ma è anche possibile che trovino delle buone politiche, e che si producano dei cambiamenti. L’importante è superare l’idea che si fa contro la politica. Questa sarebbe comunque menzogna.