Viviamo un periodo di luna di miele tra i media e la Chiesa cattolica. Time ha incoronato Papa Francesco come uomo dell’anno. Ma oltre la contingenza (quanto durerà?) occorre approfondire la sostanza di questa inattesa benevolenza. Sul lungo periodo una cartina di tornasole indicativa è il modo in cui la serialità televisiva rappresenta la figura del sacerdote. Storicamente, il primo stilema è il prete-detective. Capostipite in Italia è Padre Tobia, sceneggiato del 1968 targato Rai. Fa impressione pensare che mentre I ragazzi di Padre Tobia incarnavano l’illusione pedagogica della Rai democristiana, altri ragazzi si preparavano a mettere a ferro e fuoco il sistema educativo italiano. Seguirono I racconti di Padre Brown, adattamento dall’opera di G. K. Chesterton. La serie fu realizzata negli anni settanta e pur componendosi di sole 6 puntate da un’ora ebbe un enorme successo (21 milioni di spettatori). Renato Rascel italianizzò Padre Brown, sostituendo una specie di buon senso furbo all’intelligenza del personaggio originale. 



Oggi la BBC ha prodotto una nuova serie di Padre Brown ambientata in una campagna ordinata e rassicurante come il suo rotondo protagonista. In Italia il prete investigatore per antonomasia è don Matteo (Mario Girotti, in arte Terence Hill). Anch’egli dovrebbe ispirarsi a Padre Brown, ma è difficile ritrovarvi i caratteri di ironia e acume usciti dalla penna di Chesterton. Il prete–detective stimola la fantasia degli sceneggiatori di molti paesi. Tedesco è Pater Castell (Retequattro), prete dinamico ed efficiente, in grado di guidare motociclette ed elicotteri con la disinvoltura di uno 007. Pater Castell è un cattolico ortodosso, fedele alle gerarchie. Il suo superiore è un vescovo di Curia, per una volta né grasso, né viscido, né ambizioso di potere. La Francia ha prodotto una suora investigatrice, Suor Therese (ancora Retequattro), anch’essa normalmente cattolica e più abile del commissario che coadiuva. In Italia altro investigatore in tonaca è don Tonino (Andrea Roncato).



In tutti questi casi il prete è una figura positiva, di buoni sentimenti, ben accolta dalla comunità. Ma in queste trasposizioni televisive il prete risolve i casi più per la sua magnanimità che per intelligenza. Invece in Chesterton, ma anche in Guareschi, è la fede che affina la ragione e la conduce ad un maggior realismo. Variante ambigua è quella dei preti eccentrici, figure ancora positive, ma un po’ strane, se non estranee alla vita vera. Esempi sono Renzo Montagnani (don Fumino) e Luca Laurenti (don Luca, prima Canale 5 poi Italia 1). La serialità poliziesca americana in genere non assegna al prete il ruolo di protagonista, ma lo coinvolge volentieri nei casi di puntata, sovente a causa di delitti a sfondo sessuale (su tutti Law and Order). In ciò si riflette l’impatto emotivo che gli scandali hanno avuto sulla opinione pubblica americana.



Un altra grande categoria di sacerdoti televisivi è quella dei preti tormentati o in vario modo tentati dall’amore per una donna, dal denaro, dall’ambizione di potere. Uccelli di Rovo (1983, Canale 5) fu uno dei primi successi delle tv commerciali. La lista dei religiosi interiormente agitati comprende anche figure come quella di Carlo Dapporto (Un prete tra noi, Rai due, 1997-99), Gabriel Garko (Io ti assolvo, Canale 5, 2008), Claudio Gioè (Il tredicesimo apostolo, Canale 5, 2013). In Francia è stato prodotto Uomini di fede (in Italia su La Effe, 2013), nel quale alcuni seminaristi sono alle prese con dubbi, intrighi, sesso ed ogni altro moderno luogo comune sulle deviazioni dei sacerdoti. Mentre il primo gruppo, i preti-detective, combatte un  male che è sostanzialmente “fuori”, in altri, nel diverso, il secondo gruppo combatte anche una battaglia interiore, se possibile più difficile e drammatica. 

Una via di mezzo è rappresentata da Tom Hollander  che interpreta il prete anglicano Adam nella serie Rev. prodotta per BBC Two, di cui si annuncia adesso al terza stagione. La serie ha suscitato polemiche ma anche apprezzamenti. In Italia, pur non essendo in onda, è stata lodata trasversalmente, ad esempio “Il Foglio” e “Kataweb”. L’arcivescovo di Canterbury ne ha apprezzato il realismo. Adam fuma, beve, dice parolacce. È trasandato e simpatico come l’ispettore Colombo e parla con Dio come don Camillo. Fa compagnia agli ubriaconi, mentre l’arcidiacono della sua chiesa va negli show televisivi, mangia sushi e pensa ai soldi. Adam è un prete “politically uncorrect”, pieno di debolezze, alle prese col cruccio di riempire la chiesa di fedeli, ma anche con i mille piccoli problemi della vita quotidiana, compreso quelli derivanti dalla sua situazione matrimoniale (siamo nell’ambito anglicano). Ma è un prete che vuole davvero bene alla sua gente, un uomo con una fede più forte dei suoi mille difetti. Il racconto è pieno di ironia inglese. Ma è anche uno specchio drammatico dell’inaridirsi dell’esperienza religiosa nell’Europa dei nostri giorni.

Difficile dire quale di queste rappresentazioni così diverse sia più fedele alla realtà. La serialità televisiva insegue, sempre in ritardo, o anticipa, sempre troppo presto, il mainstream della mentalità comune. I preti veri, nella realtà, sono molto poco televisivi. Quelli che ho conosciuto io non risolvono casi polizieschi, non sono al centro di complotti, non sono aitanti né belli, hanno debolezze e grandezze da uomini, come tutti. Ne ho conosciuti che amano la vita, fumano come turchi e bevono di gran gusto, capaci di dare un braccio per un amico, ma anche di accoltellare (metaforicamente) il compagno di scopa che non sa sparigliare. Quelli che ho conosciuto io parlano di Cristo, insegnando a dargli del Tu. Oggi ce n’è uno che parla così anche a San Pietro. E lo fa per le persone che ha davanti, non per le telecamere.