Montevideo, dicembre 2013: l’Uruguay è il primo Paese al mondo a liberalizzare il consumo di marijuana organizzando il monopolio statale su tutte le fasi di produzione, distribuzione e vendita della cannabis. La nuova legge stabilisce innanzitutto la fondazione di un Istituto di regolamentazione della cannabis. Quest’ultimo fornirà licenze ai privati che vogliono coltivare le piante, ad associazioni di consumatori, e a produttori di maggiore ampiezza che venderanno la marijuana grazie a una rete di farmacie autorizzate, per un massimo di 40 grammi mensili a persona al costo di un dollaro al grammo.



Il motivo di questa scelta è stato spiegato dal Presidente dell’Uruguay José Mujica, tra l’altro già sostenitore della depenalizzazione dell’aborto (giusto per sottolineare che “la cultura della morte” procede di pari passo in tutti i suoi volti, come diceva Giovanni Paolo II). Secondo Mujica, non a caso proiettato verso le imminenti elezioni politiche e presidenziali del 2014, l’obiettivo non sarebbe far diventare l’Uruguay un “Paese del fumo libero” ma tentare un “esperimento al di fuori del proibizionismo, che è fallito” per riuscire a “strappare un mercato importante ai trafficanti di droga” salvando la vita ai giovani trascinati nel circolo della microcriminalità legata al narcotraffico. Sorprende però che nel varo di questa riforma, estorta al Senato in realtà con pochi voti (16 favorevoli, 13 contrari), sia stata calpestata l’opinione dei cittadini che, consapevoli della nocività di questa droga, si oppongono in maggioranza (oltre il 60%) a una forma di Stato che all’alcol e al tabacco aggiunge la marijuana tra le sue fonti di lucro. Mettendo peraltro a repentaglio la salute di chi gli ha conferito il potere affidandogli il bene comune.



È infatti ormai stabilito, da medicina e neuroscienze a livello internazionale, il danno alla salute provocato dal consumo di marijuana (cfr. C. Risé, Cannabis. Come perdere la testa e a volte la vita, San Paolo ed., 2007, www.claudio-rise.it): nel feto se la madre la fuma, nello sviluppo del cervello se gli adolescenti la utilizzano, nel determinare patologie psichiatriche sul lungo termine negli adulti. Per non parlare delle patogenesi infiammatorie, cardiache e tumorali provocate da questa sostanza il cui carattere di “leggerezza” è ormai stato negato anche in Italia da ambiti autorevoli come il Consiglio Superiore di Sanità.



Proprio quest’organo del Ministero della Salute ha dichiarato ufficialmente: “l’uso della Cannabis è gravato da pesanti effetti collaterali quali dipendenza, possibile progressione all’uso di altre droghe quali cocaina e oppioidi, riduzione delle capacità cognitive, di memoria e psicomotorie, disturbi psichiatrici quali schizofrenia, depressione e ansietà; possibili malattie broncopolmonari tra cui bronchite ed enfisema. Inoltre il Consiglio ritiene che giovani e adolescenti siano particolarmente vulnerabili ai suoi effetti negativi. Pertanto il Consiglio ritiene che la Cannabis non debba considerarsi ‘droga leggera’ e che il suo consumo non rappresenta quindi un’abitudine priva di conseguenze sulla salute”. (Cfr. C. Sup. di Sanità, La Cannabis non è una droga leggera, in http://www.salute.gov.it/portale/news/p3_2_4_1_1.jsp?lingua=italiano&menu=salastampa&p=comunicatistampa&id=538). Serviranno queste consapevolezze scientifiche ad evitare che il nostro Governo resista alle sirene “pro-tutto” di governi forse poco democratici ma molto interessati al business e alle vittorie elettorali?