Franco Abruzzo, uno dei decani di noi giornalisti lombardi, ha commentato con “dolore” l’esito del referendum dei 415 giornalisti di Repubblica sull’ipotesi di accordo sindacale sulla crisi aziendale. Un risultato combattuto su un’inedita doppia proposta: accettare la richiesta aziendale di 59 prepensionamenti non volontari con l’impegno a 14 assunzioni (ha vinto con 219 voti); concludere un “accordo di solidarietà” che avrebbe abbassato del 15 per cento per due anni il costo del lavoro giornalistico (in parte reintegrato nelle retribuzioni da Inpgi e Inps), con la prospettiva di alleggerimenti in caso di prepensionamenti volontari (l’opzione ha ottenuto 182 voti).
Comprendiamo tutte le ragioni di “Ciccio Abruzzo”: la sua preoccupazione (anche di “uomo di sinistra”) di veder spezzata la “solidarietà professionale e sindacale” all’interno della più grande redazione italiana. Pero’ non possiamo non registrare che a Repubblica “qualcosa è avvenuto”. Di fronte a una crisi che investe l’industria media italiana su più fronti (recessione, globalizzazione e cambiamento tecnologico e distributivo, rigidità “corporativa” del costo del lavoro giornalistico) la redazione di Repubblica ha dato una risposta certamente sofferta nella sua elaborazione: ma trasparente nel processo democratico interno e innovativa nei contenuti. Soprattutto “sfidante” verso i colleghi di altre redazioni e proprio perchéviene da Repubblica.
Il costo del lavoro “variabile indipendente”, nel 2013 è preistoria. E gli stipendi “diversi per tutti” (perché questo resta l’output di una contrattazione rigida, centralizzata e tardo-corporativa come quella dei giornalisti dell’Ordine e del sindacato unico) non sono più’ accettati neppure all’interno di un mercato professionale in cui chi è più anziano o protetto da una qualifica è sempre più spesso a rischio-rendita (o privilegio) rispetto a giovani che vogliono trovare un’opportunità professionale nel settore; o vorrebbero veder riconosciuto – almeno un po’ – il merito: la quantità e la qualità espressa nella competizione che comunque è fondata come “buona pratica” anche all’interno di una redazione giornalistica.
A un giornalista “ben pensionato” nulla vieta di restare sul mercato con altre vesti. E se non riesce a ritrovare – a inventarsi – il suo nuovo mercato da pensionato, vuol dire forse che anche da dipendente non era un buon giornalista.