Il Papa è diventato l’uomo dell’anno per due importanti periodici americani, il Time e la rivista dichiaratamente pro-gay The Advocate. Nel secondo caso, ma anche un po’ nel primo, non si sono fatte attendere le polemiche: dalle accuse di manipolazione e strumentalizzazione delle parole del Pontefice alle violenti reazioni di chi “ama” Francesco e disprezza la sua “arretrata” Chiesa. Nel frattempo, mentre infuria la battaglia, il Pontefice tace e – come sempre – non entra in simili dibattiti.



Domandiamoci, allora, come mai il Vescovo di San Francisco si senta in dovere di puntellare le parole del Papa e di stigmatizzare l’Advocate come rivista provocatoria e manipolatrice e il diretto interessato, il Vescovo di Roma, se ne stia zitto e non intervenga a precisare e a tenere il punto.

Francesco l’altro giorno ha festeggiato il proprio compleanno con i dipendenti della Casa Santa Marta e quattro clochard. Ammettiamolo: chi tra di noi vorrebbe un compleanno così? Va bene l’immagine, va bene il ruolo sociale e civile, ma il compleanno è il compleanno, Natale è Natale e il riposo è riposo. Ognuno, ad un certo punto, sente il bisogno di uno spazio proprio, uno spazio dove essere finalmente “Io”. Forse sta proprio qui il segreto di Francesco: egli non ha bisogno di tutto questo, non ha bisogno di momenti che soddisfino la propria dimensione affettiva, egli – infatti – si sente amato da Cristo ed è sazio, tutto pieno, di questo amore. Al punto che, quasi inaspettatamente, l’unico spazio di cui sente davvero sempre il bisogno Francesco è quello del “dono”.



Non così siamo noi, la Chiesa che egli guida. Noi abbiamo sempre bisogno di altri spazi, spazi dove riaffermare noi stessi, spazi dove mettere i puntini sulle i, spazi dove ognuno possa – almeno per qualche ora – calare la maschera e godersi la vita. Perché l’altra vita, quella che indossiamo tutti i giorni e che noi abbiamo l’ardire di definire “cristiana”, è solo una finta, un lavoro, un impegno gravoso da sostenere più o meno continuativamente a seconda degli obblighi, degli uffici e – molto più spesso – della nostra compagnia. Di fronte all’Advocate noi ci sentiamo in dovere di intervenire, di precisare, di difendere, mentre il Papa sente solo il bisogno di donarsi.



È questa la differenza tra noi e lui, è questo ciò che ci fa vedere quei famosi “principi non negoziabili” del Grande Benedetto come le trincee di una guerra e non come il frutto più grande della festa che Cristo è venuto a portare all’uomo. Bergoglio è un uomo in festa, in festa perché amato da Cristo. Egli festeggia la vita, festeggia la famiglia, festeggia l’educazione che ogni giorno riceve da Cristo. E lo fa donandosi.

Quando qualche mese fa scrissi un articolo sull’omosessualità, che aveva come unico scopo quello di incontrare le persone non in forza dell’aggettivo che esibiscono, omosessuale, ma del sostantivo che sono, uomini, si scatenò un putiferio. Eppure noi siamo al mondo non per puntellare, per isolare, per contingentare: noi siamo al mondo per donarci. E come Gesù non ha fatto il sindacalista con noi − almeno con me − donandosi quando ancora eravamo peccatori, ossia quando ancora non avevamo alcun affetto per Lui, così anche noi siamo chiamati a donare noi stessi come Francesco, senza porre condizioni previe.

Io non so perché l’Advocate abbia messo Bergoglio in prima pagina: so quello che dicono loro, ma credo che non sia tutto; infatti essi guardavano a Pietro, alla Chiesa, e aspettavano da tempo soltanto un cenno di misericordia. Dietro l’Advocate si nascondono i cattivi? Può darsi. Ma è gente che aspetta quello che aspetto io, quello che aspetti tu. Avranno i soldi, saranno una lobby, forse ci odieranno pure (a noi cristiani), ma mi domando: e allora? È questo un motivo per non amarli, per non lodare Dio della loro esistenza, per non ringraziare il Signore di averceli messi così, nudi e feriti come noi, sul cammino della nostra vita?

Cari amici, non è che a furia di fare i cattolici ci stiamo dimenticando di essere cristiani? Non è che sappiamo a memoria tanti discorsi e tante dottrine, tanti commi e tante regolette, e non sappiamo più perdonare, stare in silenzio, accogliere, rimediare alle discordie fra noi, impegnarci in prima persona? Serve a qualcosa, come leggiamo regolarmente su internet, creare il mondo del “noi” e del “loro”? Non sono forse “loro” poveretti come “noi”?

Io per la mia vita avverto l’urgenza estrema di fare un cammino, un cammino umano che mi porti a essere lieto di festeggiare il compleanno con quattro barboni. Infatti non siamo noi i giudici del tempo. È il tempo che giudica tutto. Come avvenne con Gesù, che trovò molti simpatizzanti, ma pochi disposti davvero a seguirlo, così avverrà anche a noi, attratti da Francesco fino ad un certo punto o “da un certo punto in poi”.

Il giorno della verità arriva per tutti e se ora usano il nome del Papa per scacciare i demoni dalla loro vita anche noi – con Cristo – dobbiamo avere l’umiltà di ammettere che “chi non è contro di noi è con noi”. Nessuno può usare il nome di Francesco e poi far finta di niente. Ma questo, questa semplice considerazione, non è affar nostro.

L’educatore della Chiesa infatti è uno: Cristo stesso. E se il suo Vicario tace, forse dovremmo imparare anche noi a vivere ogni spazio della vita come occasione di un dono. E non come l’occasione di una crociata che, sebbene tanto ci attragga e ci ispiri, più che generare un martirio per Dio corre il rischio di generare soltanto un’altra forma di idolatria, quella sottile del nostro narcisismo. È questa dunque la sfida che ci lancia l’Advocate. Sta a noi decidere se rispondere con una festa, quella della nostra vita, o con un caro, vecchio “comunicato stampa”. Molto più facile, certamente, ma senza tutto il gusto e la lotta di un vero cammino.

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