Oggi, 22 dicembre, la Chiesa ricorda la figura di Santa Francesca Saverio Cabrini. Nata a Sant’Angelo Lodigiano, nel 1850, in una famiglia di contadini benestanti e da sempre vicini alla religione cattolica, fu presto impregnata dal fervore che animava il resto della stessa, aggiungendovi uno spirito di iniziativa teso a rendere concreto lo spirito cristiano. Un fervore che andò poi a unirsi a un sentimento patriottico non molto comune al tempo, il quale fu sempre attentamente coltivato anche quando le sue strade la portarono fuori dall’Italia.
Dopo aver terminato gli studi con il conseguimento del diploma e dell’abilitazione all’insegnamento, divenne supplente nella scuola di Vidardo, un centro nei pressi di Sant’Angelo. Proprio a Vidardo fu protagonista di una battaglia contro il sindaco, acceso da spirito anticlericale, il quale aveva cercato di impedirle l’insegnamento della religione cattolica, cedendo infine di fronte alla sua determinazione e nonostante la proibizione governativa in vigore.
Il suo lavoro a Vidardo fu limitato a soli due anni, in quanto Francesca Saverio Cabrini desiderava soprattutto diventare missionaria e a questo scopo dedicò tutta se stessa. In un primo momento, decise perciò di prendere i voti, nell’ambito della Casa della Provvidenza sita a Codogno, iniziando un difficile percorso denso di sofferenza, ma affrontato con grande coraggio.
Il suo proposito vide un primo passo verso la sospirata realizzazione grazie all’opera del Vescovo di Lodi, il quale le propose di adoperarsi in favore della fondazione di un istituto che avrebbe dovuto sovrintendere all’assistenza dei tanti emigrati italiani che in quegli anni si dirigevano verso l’America non trovando nel nostro Paese la possibilità di sfamare la propria famiglia. Anche se lei avrebbe sognato andare in Cina, prese con altrettanto entusiasmo l’incarico e si dedicò alla fondazione delle Missionarie del Sacro Cuore di Gesù, dotandole di una serie di centri non solo nel suolo lombardo, ma anche nella capitale.
Un nuovo segno del destino fu l’intervento di Monsignor Giovanni Battista Scalabrini, il fondatore dell’ordine degli Scalabriniani, il quale dopo aver a lungo cercato una figura femminile cui affidare un ramo del suo istituto, lo individuò proprio in Francesca Saverio Cabrini. La donna, però, temendo di perdere l’autonomia di cui aveva goduto con il suo precedente istituto, decise di declinare l’offerta, accettando invece la direzione di un asilo e di una scuola negli Stati Uniti, nella città di New York.
Se da un lato l’incarico era il definitivo passo di addio alla Cina, dall’altro significava comunque andare verso un’ottica missionaria che era in definitiva quella che la muoveva da sempre. Fu lo stesso Papa Leone XIII a esortarla a considerare con favore l’ipotesi statunitense per lo sviluppo del suo istituto, ove avrebbe potuto trovare i mezzi per favorirlo tra i tanti emigrati del nostro Paese che necessitavano di assistenza. La partenza avvenne nel 1889 e una volta arrivata a New York, la Cabrini capì la gravosità del compito che aveva davanti. Reso ancora più difficile dalla palese ostilità dimostratale dall’arcivescovo Corrigan, il quale si pronunciò contro il suo manipolo di suore tanto appassionate, quanto prive delle risorse finanziarie necessarie allo scopo. Reputando di conseguenza necessario un largo uso di denaro per sostanziare la fede.
Alle argomentazioni pratiche, ma assai discutibili dell’arcivescovo, la Cabrini oppose quelle di carattere assai più spirituale, ossia l’appoggio del Papa e l’amicizia intrapresa con una facoltosa fedele statunitense, moglie di Palma De Cesnola, il famoso direttore del Metropolitan, il museo più celebre della città. Forte di questi sostanziosi argomenti, la donna non ebbe perciò difficoltà a proseguire nel suo tentativo, aprendo una prima scuola rivolta alle ragazze in un appartamento che era stato offerto proprio dalla consorte di De Cesnola. Alla gestione di questa scuola, le suore affiancarono anche un’incessante opera di assistenza nei quartieri popolari, quelli più a rischio e degradati. Opera che comportava ogni giorno rischi derivanti dal contatto con ambienti in cui la violenza era una regola, insieme alla estrema indigenza.
In questa attività la Cabrini riuscì a farsi benvolere dagli emigrati italiani, di cui cercò di migliorare condizioni che li vedevano al limite della schiavitù. Da un lato cercò di innalzarne lo spirito civico, dall’altro di rafforzare il loro senso di attaccamento alla patria lasciata e alla religione cattolica. Opera in cui fu affiancata anche da chi non nutriva sentimenti religiosi, ma si sentiva coinvolto dal suo afflato sociale.
La sua morte arrivò proprio mentre stava effettuando un nuovo viaggio a Chicago, il 22 dicembre 1917, nel quadro del suo incessante prodigarsi.