Caro direttore,

Ora che la vicenda degli evasi di Genova e Pescara hanno avuto una positiva conclusione, vorrei, un po’ più a cuor sereno, condividere qualche riflessione con i suoi lettori. È come se fosse capitato a me, che faccio il giudice di sorveglianza da ormai parecchi anni.

Succede che una decisioni si riveli, con un giudizio a dir poco superficiale, a posteriori sbagliata. 



Facciamo un lavoro duro e difficilissimo: a noi tocca applicare la Costituzione, che all’art. 27 comma terzo recita “La pena deve tendere alla rieducazione del condannato”. Nel momento in cui un individuo si trova a dover scontare una pena (spesso irrogatagli parecchi anni prima dal giudice di merito) a noi magistrati di sorveglianza spetta adeguarla alla sua persona, all’uomo che è diventato ora. A noi spetta verificare se quest’uomo, ora, è cambiato o se sta maturando un desiderio di cambiamento vero e concreto tale per cui vale la pena dargli fiducia e offrirgli delle opportunità per reinserirsi nella società. Noi scommettiamo sull’uomo e sulla sua intoccabile e sacrosanta libertà.



Svolgiamo questo compito che la Costituzione ci assegna con pochi e men che meno adeguati mezzi, con carichi di lavoro sempre più imponenti (ogni qualvolta sentite parlare dell’emergenza carcere, del sovraffollamento, delle misure che il governo si sta preparando ad adottare per farvi fronte, sappiate che per noi significa istruire nuovi procedimenti, aprire nuovi registri, fissare nuove udienze), con informazioni.

Ogni giorno in queste condizioni operiamo decine e decine di decisioni che alla fine si sostanziano in una scommessa sull’umano e siamo spesso in preda ai facili giudizi giustizialisti o buonisti di chi, a seconda di come tira il vento, con una logica molto spicciola, vorrebbe tutti dentro o tutti fuori, senza fermarsi a riflettere. La libertà ogni libertà umana ha un costo e promuoverla, scommettere su di essa perché gli uomini siano davvero uomini, ha un costo sociale elevato.



L’ho detto spesso, scrivendo su questo giornale: l’essere umano non matura solo perché il tempo passa, solo perché gli si offre il lavoro, solo perché incontra la fidanzata, solo perché ha più soldi, solo perché gli offriamo delle opportunità “di risocializzazione”. Ci vuole qualcosa di più, un percorso interiore personale su cui tutti possono scommettere, nessuno ha la garanzia del risultato. 

Non c’è rieducazione senza questo, ma senza questa scommessa non si permette agli uomini di diventare uomini, di “far fiorire ciò che veramente siamo in qualunque circostanza ci troviamo”. È per questo che nonostante la difficoltà, la poca comprensione degli aspetti di questa funzione, per non dire della poca stima, continuo ad amarla.

Dimenticavo: Pietro Esposito e Bartolomeo Gagliano avevano dei fine pena relativamente brevi (uno nel 2015 e l’altro a maggio 2014). Ora si son giocati tutto.

E con l’animo più sollevato auguro a tutti che sia davvero un Buon Natale.