Grazia, Francesca, Mariella, Maria, Antonia, Carmela, Carla, Stella, Bruna, Gemma, Roberta, Patrizia, Lucia, Gianna, Laura, Anna: sedici nomi, ciascuno per una donna incontrata cinque-sei mesi fa. Ogni mattina arrivo in sede con una certa trepidazione; salgo al terzo piano della scala B dove si trova il CAV Mangiagalli, saluto velocemente chi è già arrivato e mi infilo nella stanza da sempre denominata “la stanza dei colloqui”. Faccio partire una musica leggera e rilassante, un diffusore di profumo di ambra, il computer e aspetto. Chi aspetto? Non lo so, perché da me si arriva senza appuntamento, per essere ascoltati da una perfetta sconosciuta a cui dire le proprie pene. Sono pene davvero, pene che c’entrano con la vita e con la morte. Infatti solo se si sentirà aiutata, la donna che arriverà potrà decidere di continuare la gestazione della vita di quel bambino piccolissimo, nel cui organismo si stanno moltiplicando milioni e milioni di cellule inconsapevoli del loro destino.
Ricordo la frase di una vecchia signora che ebbe a dire in dialetto milanese: “Mi el su no cosa a l’è quel che sta denter ‘na dona incinta; quel che su l’è che s’el lassen sta, dopo el nass un fiulin!”. Dopo qualche minuto, quasi sempre, dalla segreteria mi avvisano che è arrivata una donna del “primo trimestre” (nel nostro gergo chiamiamo così le persone che non hanno ancora deciso che cosa fare della loro gravidanza, e i giorni fatidici sono i primi novanta) e io spalanco la porta per poterle dire “Benvenuta!”. Anche per Grazia, Francesca, Mariella, Maria, Antonia, Carmela, Carla, Stella, Bruna, Gemma, Roberta, Patrizia, Lucia, Gianna, Laura e Anna è stato così: sono arrivate, sono state accolte, ascoltate e hanno detto “sì” alla vita. Nel loro caso, al posto dei percorsi individuali, le ho invitate a dar vita a un gruppo, che si sarebbe ritrovato ogni mese con me e Tiziana, per diventare esperte nel mestiere di mamma. Così, ieri, ci siamo ritrovate, sedute in circolo, per il nostro appuntamento mensile.
All’ordine del giorno del nostro incontro c’erano tanti problemi pratici: come ritirare il corredino, come contattare l’ostetrica, come rifornirsi dei pannolini… Tiziana parlava con la puntualità di sempre, le nostre mamme prendevano nota sulla loro “scheda verde” degli appuntamenti e dei luoghi dove recarsi e io sentivo salire dentro una grande commozione. Pensavo che stavo partecipando a qualcosa di speciale: sedici donne sedute in cerchio, tutte con un bel pancione che avrebbero partorito tra il 29 dicembre e il 30 gennaio. Pensavo alle vie affollate di Milano con i negozi illuminati, le strenne esposte, le cene ricche di ogni leccornia per farsi gli auguri, e tutto ciò per festeggiare un Natale che, forse, non ha più molto del suo significato originario.
Il cuore mi diceva, però, che il Natale, quello vero, quello che porta un bambino tra noi, quello, era lì e lo stavamo festeggiando noi. Molte sono le donne che vengono da altri paesi e, quindi, con altre tradizioni religiose; ma la percezione di quelle pance e di quelle future nascite era così forte che non ho saputo resistere e, cogliendo al volo un momento di silenzio, mi sono ritrovata a dire: “Mi sento in mezzo a tante Marie! Maria di Nazareth, la donna che ha fatto nascere un bambino come quello che forse state sentendo scalciare in questo momento e che tra qualche giorno farete nascere voi”.
A quel punto il silenzio si è fatto denso. Allora mi sono fatta coraggio e ho raccontato il viaggio di Maria e Giuseppe per raggiungere Betlemme, dove non hanno trovato casa e si sono rifugiati in una caverna nella montagna. Ho parlato loro di Giuseppe dicendo di quanto si sarà dato da fare all’intorno per avere a disposizione un po’ di erba secca per poter adagiare la sua Maria che, come loro, ha provato le doglie del parto. Probabilmente erano stupite da questo mio dire, ma io ho continuato raccontando del censimento, per dare una cornice temporale, e ho aggiunto che di Gesù parlano anche i libri di storia antica. Ho spiegato loro che questa nascita ha diviso la storia in un tempo prima e un tempo dopo, inserendosi nella vicenda degli uomini. Non sapevano collocare Betlemme a livello geografico, e così abbiamo parlato del Medio Oriente e di Israele che si trova vicino all’Egitto, di cui qualcuna sapeva. Capivo che molte di loro si stavano toccando la pancia, forse pensando al piccolo Gesù e a Maria, donna come loro. Ho sollecitato le domande e così ho scoperto che qualcuna era musulmana e una induista. A quel punto sono stata io a fare delle domande e diverse hanno raccontato delle tradizioni del proprio paese. Finalmente erano davvero le protagoniste!
Non c’era l’albero di Natale in quella stanza, né festoni colorati, ma avevamo lì tanti presepi e, nel mio cuore, la gioia traboccava; sentivo di aver ricevuto il mio regalo più bello.