Perché il Natale continua ad attirarci e a commuoverci? Esso provoca in tutti – anche se in modi diversi e con diversi accenti – una sorta di simpatia inestirpabile, come un presentimento di bene e di pace. Una reazione che attraversa anche le differenze ideologiche o le visioni del mondo, così come trapassa i progetti e i bilanci dell’esistenza individuale, perché sembra cogliere un’attesa e un desiderio che abitano il cuore di ciascuno di noi. Un’attesa tante volte non detta o tacitata; un desiderio che si teme non potrà mai essere davvero soddisfatto. Di fronte al Natale è come se non avessimo più pudore ad ammettere quell’attesa, riconoscendo che attendiamo un incontro che possa spalancarci la vita, e riattivassimo – anche se solo per poco – quel desiderio di felicità e di compimento.
Si fa presto a dire che poi questa nostra mossa verrà letteralmente mangiata nel meccanismo consumistico, quello in cui i veri doni si trasformano in una lista di regali e l’attesa segreta dei cuori si confonde con i buoni propositi che già sappiamo non verranno mantenuti. E tuttavia, non sarebbe giusto che questa deriva ci impedisca di guardare al fondo della questione che si riaccende di fronte alla nascita di Cristo, e che viene prima di ogni riduzione: la questione su ciò che permette davvero al nostro “io” di vivere. Non si tratta dunque di richiamare, in maniera un po’ manichea, la sobrietà “autentica” di una festa spirituale rispetto al degrado materialistico di una festa solo mondana, proprio perché il Natale scompiglia ogni volta queste nostre divisioni, lo spirito e la carne, il mondano e il divino, il cielo e la terra.
Questo è l’interessante e l’inedito: proprio ciò che è accaduto nella storia del mondo duemila anni fa, e che continua a riaccadere oggi, ci permette di vedere, e di comprendere, di cosa siamo veramente in attesa, che cosa ultimamente desideriamo. Certo, il Natale non è appena l’esito della nostra attesa o il prodotto del nostro desiderio; è piuttosto la scoperta che attendere non è vano e desiderare non è assurdo, perché la realtà ha risposto – e risponde – alla domanda della ragione e del cuore dell’uomo, infinitamente di più di quanto si sarebbe potuto prevedere. Inversione della logica consueta: è la risposta che anticipa, in una sorprendente contromossa, il potere della domanda.
E’ per questo motivo che, di fronte alla nascita di Cristo, vien voglia di conoscere di più, senza mai poterlo dare per scontato, che cosa è effettivamente successo – e sta succedendo oggi. Lo direi così, perché mi colpisce di nuovo in questo modo: è la riscoperta della realtà.
In un’epoca filosofica in cui da più parti si insiste per un ritorno al “realismo”, dopo il lungo predominio moderno e “post-moderno” delle interpretazioni rispetto ai fatti, il Natale ci costringe a chiederci qual è il significato del reale, che cosa è veramente “realtà”, e ad accorgerci di come siano insufficienti le categorie in cui abitualmente la riduciamo. Da un lato infatti noi siamo soliti attribuire la parola realtà a ciò che corrisponde ai nostri schemi mentali o che riusciamo a costruire con le nostre strategie. Insomma, saremmo noi, soggettivamente, a decidere cosa esiste davvero. Dall’altro lato, però, siamo anche costretti – a motivo delle circostanze che spesso smentiscono queste nostre pretese – a ritenere che la realtà sia qualcosa di oggettivo, sì, ma come indipendente e indifferente rispetto a noi, come ciò che in definitiva resta immodificabile in sé.
Ciò che avviene con il Natale ci fa invece vedere in maniera nuova, più originale, la realtà: qualcosa che ci è “dato”, altro da noi, ma per noi, portando in sé l’invito alla nostra ragione e alla nostra libertà ad accoglierlo, per arrivare a scoprire che c’è Uno che ce la sta dando. Non il richiamo a un “cielo” indefinito, non l’appello a un lontano al di là, ma la sfida a vedere l’invisibile nel visibile. Questo non vuol dire semplicemente che la realtà è misteriosa (d’altronde, chi potrebbe mai negare l’enigma dell’esistere?), ma soprattutto che il mistero è reale, e si rende esperienza sensibile. Insomma il mistero non è un’aggiunta o una fuga dall’essere, ma la logica stessa dell’essere; ed è “mistero” non perché semplicemente ci sfugga, ma al contrario proprio perché ci raggiunge, e ci interpella a rispondere agli eventi e alle cose, così che il reale possa accadere in tutta la potenza del suo senso. C’è bisogno di un io, e del suo rapporto con l’essere, perché la realtà veramente accada.
Natale è la festa della conoscenza perché in quel punto e da quel punto è realmente iniziata una modalità nuova di conoscere questo nostro mondo. Conoscere la verità significa riconoscere l’amore (come ci testimonia con passione Papa Francesco), non come impersonale energia cosmica ma come uno sguardo da persona a persona, l’irrompere del “Tu” nell’io. Di questo Tu si può parlare non tanto per una dottrina filosofica, ma innanzitutto per un’esperienza vissuta (e grazie a questo, magari, anche in una prospettiva filosofica).
Ma non per questo il Natale cristiano risolve automaticamente il problema della realtà, quel dramma cioè che sta tutto nel decidere se essa abbia un senso ultimo e un destino di pienezza o se sia insensata e destinata al nulla. Esso piuttosto continua ad attestare che il senso non è una nostra costruzione ma una “presenza” che accade.
E se il filosofo greco poteva stupirsi, con le parole di Aristotele, per la presenza delle cose che desta meraviglia e avvia la conoscenza; e se secoli dopo il grande Leibniz poteva formulare la domanda metafisica più vertiginosa, ossia perché mai esista “qualcosa piuttosto che il nulla”, il Natale ci porta alla sorgente di quello stupore e al fondo di quella vertigine. L’essere c’è – non come un caso assurdo e irrazionale, ma come una storia che si mostra nel corso del tempo e ci tocca, ci cambia, ci strappa ogni volta dal niente.
Ad una sola condizione: che noi ci lasciamo toccare da questa presenza. Se è il Mistero infatti che prende l’iniziativa nei nostri confronti, al tempo stesso esso ci aspetta: la realtà intera aspetta, silenziosa, la risposta di un uomo che sia disponibile ad accoglierla.