“Per me Natale è un’altra nota dolente. Ci sono fuori le luci, i presepi, pure gli alberi di Natale, ma niente di tutto questo sembra cambiare i cuori delle persone. E io non faccio di certo eccezione. Per me Natale è un giorno da vivere da vero recluso, senza lavoro e in assoluta assenza di compagnia; di diverso dagli altri però, quest’anno vedrò il mio piccolo figlio in più di un’occasione; così avrò il mio bambinello a ricordarmi la gioia del cuore e il senso di questo periodo dell’anno.” Non conosco il volto di questo amico in carcere con il quale – per una coincidenza fortuita – ho intrapreso da qualche anno una fedele corrispondenza. Conosco invece almeno un poco il suo cuore. Ha commesso un reato gravissimo in un momento di stralunamento, ma vive con cocente pentimento e si riscatta giorno per giorno con varie occupazioni, nella solitudine del carcere.
“Mi manca la mia famiglia, e vorrei essere in grado di dare di più dei semplici oggetti da me fabbricati e che consegno ai miei familiari nell’ora di colloquio”. In carcere ha avuto diverse occasioni di lavoro, ma adesso ‘il lavoro è diventato un problema tanto quanto lo è di fuori: mancano i soldi e ahimè mancano anche persone che entrino in carcere senza pregiudizi”. “L’altro giorno – continua – sono venuti in visita un gruppo di preti e sono rimasto stupito; ho visto preti giovani completamente spaesati di fronte a questa realtà e ai bisogni che molti di noi hanno, come un posto per dormire, il lavoro, il semplice conforto. Il cappellano spiegava e, a parte qualcuno più in là con gli anni, gli altri guardavano questa realtà come se fosse una novità; lo racconto perché ho visto entrare un sacco di giovani degli oratori e comportarsi nella stessa maniera, quando alle soglie del 2014 questa dovrebbe essere una realtà di dominio pubblico come il gossip su Balotelli e non un tabù”.
La conclusione è amara: “Alle volte quando ci sono queste visite mi viene da dire ad alta voce: ‘Non avvicinatevi alle gabbie e non date da mangiare agli animali’. Capisci la sofferenza, la solitudine che questo può creare?” Mentre leggo, avverto nel cuore l’eco delle parole di Gesù: “Ero in carcere e mi avete visitato”.
Cosa vuol dire visitare un carcerato? Non solo varcare la soglia di un carcere. Anche un lettera, un gesto di simpatia. Mi sono affrettato a rispondere, perché l’augurio via posta potesse arrivare al mio amico prima di Natale. Come promessa di qualcosa di assai più grande, un dono di misericordia, il perdono che diventa abbraccio di Dio e degli uomini.