Il ministro per l’integrazione del governo Letta, Cécile Kyenge, ha commentato in occasione di un’intervista al Messaggero di Roma, il dramma di Prato: il rogo che domenica 1 dicembre ha fatto sette vittime (e due ustionati gravi) in una ditta tessile di cinesi dove le condizioni di lavoro e di sicurezza dei lavoratori erano da terzo mondo. Queste le sue parole: “La comunità cinese ha le sue colpe, noi abbiamo le nostre. I cinesi hanno bisogno di uscire dalle loro comunità chiuse, ma per farlo devono potersi fidare di noi. E noi forse non abbiamo dato loro tutta la protezione necessaria”. Il ministro continua: “I bambini cinesi di Prato sono ormai italiani di terza generazione. Parlano i dialetti locali. Vanno a scuola e si direbbe che siano perfettamente integrati. Ma quando crescono ed entrano nell’età lavorativa si trovano praticamente tutti rinchiusi all’interno delle varie imprese a carattere familiare. E se sono sfruttati, non denunciano”, per poi concludere: “Noi dovremmo dare loro la sicurezza della protezione, se denunciano lo sfruttamento. La loro difesa passa per un percorso di immigrazione regolare”. Non è comunque una questione restringibile alla sola Prato, città nevralgica della produzione tessile. È intervenuto in merito anche Enrico Giovannini, ministro del lavoro: “sono circa 155mila le aziende irregolari: il problema non sono solo i cinesi, ma è anche responsabilità di chi organizza la produzione. Serve una cultura della legalità generalizzata, c’è la necessità di un cambiamento dell’impostazione culturale”.