Evangelii gaudium, la gioia dell’evangelo, è il tema che declina in ogni suo aspetto la recente esortazione apostolica di Papa Francesco sull’annuncio del Vangelo nel mondo attuale. Il cuore pulsante di questa gioia (“vivo rallegramento di animo pienamente appagato del godere alcun bene presente”; in senso religioso “viva e profonda allegrezza dello spirito, proveniente dall’appagamento di esso in Dio come sommo bene”) è l’incontro con Cristo. È Cristo il bene presente di cui si gode e ci si rallegra nell’annuncio; e che ti straripa dal cuore e ti spinge a farlo sapere agli altri. Perché Cristo è l’amore che apre gli occhi di noi sugli altri e degli altri su di noi, in un guardarci che ci dà la pienezza della nostra umanità, che ha più bisogno degli altri, che di noi stessi. Anche per realizzare la propria libertà, che non “finisce” – come il futuro Papa Francesco Bergoglio scrive con una splendida intuizione nel Messaggio alle comunità educative del 2007 –, bensì “inizia” dove comincia quella degli altri, perché «come ogni bene spirituale, più è grande quanto più è condivisa».



Cristo è il Maestro di questo sguardo che ci libera «dal peccato, dalla tristezza, dal vuoto interiore, dall’isolamento» (Evangelii gaudium, 1). Perché questo è il peccato: la chiusura egoica di un cuore che si crede pieno di sé e si svuota di Dio e degli altri. Il sistema di divieti che si lega a questa idea di peccato, è un invito a non abitarne la casa, a non restare per paura o superbia chiusi nelle sue mura: il “cuore indurito” che non sa battere, non sa esultare con quello degli altri, che non sa lasciarsi guardare dalla tenerezza di Dio; che non si lascia guardare dallo sguardo di Cristo, che «riempie il cuore e la vita» – nei giorni sì e nei giorni no, “pienezza” di ogni giorno –  di coloro che lo incontrano. 



Da questo punto di vista non è l’annuncio in sé – il cristianesimo riportato con forza da Papa Francesco al suo nucleo generatore, la predicazione evangelica –, come sembra credere Eugenio Scalfari nel suo coinvolto commento all’esortazione papale, che abolisce il peccato; ma è l’Uomo-Parola, l’annuncio in senso forte, il Nunzio di Dio, il Verbo incarnato che è annuncio di sé a te che lo accogli, che abolisce, libera dal peccato; che abolisce, toglie noi dal peccato; possibilità, il peccato, all’uomo sempre presente, perché sempre libero di nascondersi a Dio – che è questa apertura d’amore – o di aprirsi a Lui, facendosi aprire da Lui a Lui e agli altri con Lui, che con Lui vengono sempre insieme, nello stesso sguardo. 



Non è l’annuncio che toglie il peccato, ma il sì all’annuncio, a Gesù, «il primo e il più grande evangelizzatore», come, riprendendo Paolo VI, sottolinea Francesco. Esortando a non intendere l’impegno di evangelizzazione che nasce da questo sì a Cristo, certo «un impegno generoso», tuttavia «come un eroico compito personale, giacché l’opera è prima di tutto sua, di Cristo, al di là di quanto possiamo scoprire e intendere». Ed è a quest’opera di Lui in noi che bisogna affidarsi con fiducia. 

L’ampia esplicazione pastorale che da questo nucleo generatore l’esortazione papale sviluppa è tutta motivata a portare ad evidenza, per i cristiani almeno, ma non solo, che se davvero ti lasci guardare da Cristo, e lo guardi, non potrai restare nei suoi occhi senza portare sugli altri lo stesso sguardo. Uno sguardo d’amore. E questo non è solo un mondo di fede da avere, ma un mondo di opere da fare. Il «regno» di quello sguardo di Cristo da realizzare è già qui, nel mondo «attuale», nel mondo in atto, nella cronaca della storia che viviamo ogni giorno. 

Il compito non è poco, ma luce per esso che viene dall’annuncio di Cristo è tanta. Ed è a disposizione di tutti, credenti o non credenti, vogliano alzare gli occhi.

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