Un popolo di infelici, altri che di poeti, santi e navigatori. E’ quanto emerge dal nuovo rapporto del Censis, che definisce gli ultimi anni, quelli della crisi economica, segnati da un solo “soggetto economico e sociale” e cioè la sopravvivenza. Questo è stato possibile, si legge, grazie ad alcuni valori che ancora sopravvivono nella società italiana, ad esempio la capacità di adattamento delle imprese e delle famiglie, la cultura collettiva dei valori del passato come l’imprenditorialità artigiana, la capacità a comportarsi con misura e sobrietà. Ma, si legge sempre nel rapporto, la società italiana oggigiorno è anche “una società sciapa e infelice”: non c’è fermento, c’è accidia, furbizia, disabitudine al lavoro, immoralismo, evasione fiscale crescente, accettazione passiva della comunicazione di massa. Infelici dunque: “perché viviamo un grande, inatteso ampliamento delle diseguaglianze sociali”. E’ sparito il ceto medio e la gente oggi si divide in rancorosi e sofferenti, invidiosi dell’altrui ricchezza: “Da ciò nasce uno scontento rancoroso, che non viene da motivi identitari, ma dalla crisi delle precedenti collocazioni sociali di individui e ceti”. Ci sono fortunatamente segnali positivi, come la nuova imprenditorialità femminile. “la dinamicità delle centinaia di migliaia di italiani che studiano e/o lavorano all’estero (sono più di un milione le famiglie che hanno almeno un proprio componente in tale condizione) e che possono contribuire al formarsi di una Italia attiva nella grande platea della globalizzazione”.