Un’Italia sempre più a chiazze di leopardo per quanto riguarda la povertà e l’esclusione sociale. Da un lato ci sono le famiglie povere che risentono sempre di più degli effetti della crisi, soprattutto se hanno molti figli o se si tratta di anziani soli. Dall’altra chi sta bene si trova a stare sempre meglio, quantomeno rispetto alla media. E’ il quadro descritto da Gian Carlo Blangiardo, professore di Demografia ed esperto di esclusione sociale all’Università di Milano Bicocca, secondo cui “destano comunque molte perplessità i dati Eurostat secondo cui i poveri in Italia sarebbero addirittura una persona su tre e con cifre più numerose rispetto a Irlanda e Portogallo”. Per gli esperti europei, le persone a rischio povertà in Italia sarebbero il 29,9%, al secondo posto in Ue dopo la Grecia al 34,6%. Mentre per l’Inps dall’inizio della crisi, cioè nei quattro anni dal 2008 al 2012, il potere d’acquisto delle famiglie italiane si sarebbe ridotto del 9,4%, con un -4,9% registrato soltanto l’anno scorso.



Professor Blangiardo, partiamo dai dati Inps. Di quale realtà sono lo specchio?

Sono quattro anni che ci troviamo dentro a una crisi ininterrotta. Siamo quindi in una situazione abbastanza problematica, e lo possiamo toccare con mano quotidianamente. I dati statistici documentano in modo oggettivo questa tendenza in peggioramento. A fare riflettere in particolare è l’allargarsi della forbice. Le grandi difficoltà nel far quadrare i conti e nel rispondere a una vita che costa sempre di più sono sentite soprattutto da coloro che si trovano nella condizione più sfavorevole e che finiscono per entrare nel mondo dei nuovi poveri. Ciò aggrava ulteriormente le distanze tra le diverse categorie. Il paradosso è che, quantomeno in termini relativi, se la media si abbassa chi stava bene si trova a stare sempre meglio.



Per i dati Eurostat, l’Italia è il secondo Paese Ue con il rischio esclusione sociale più elevato dopo la Grecia. Le ritiene delle statistiche attendibili?

Siamo tutti d’accordo sul fatto che l’Italia è messa meglio dei nostri vicini di casa greci. Mi desta invece alcune perplessità sapere che il nostro sarebbe il secondo Paese in Europa per quanto riguarda il rischio povertà. Ci sono realtà come il Portogallo e l’Irlanda in cui la crisi ha colpito pesantemente. Si dice che tanto Lisbona quanto Dublino ne starebbero uscendo, ma non si sa bene se sia realmente così o se per ora si tratti soltanto di auspici. Gli indicatori statistici che misurano l’esclusione sociale scontano gli effetti di un’impalcatura nella quale le definizioni andrebbero messe più a fuoco.



Che cosa non le sembra abbastanza chiaro?

Bisognerebbe capire meglio che cosa si intenda per esclusione sociale e come si misurino gli elementi che la manifestano. Da questo punto di vista gli strumenti sono ancora abbastanza imperfetti, e quando sono utilizzati nei media si prescinde sempre dalle “avvertenze per l’uso”. E’ un dato di fatto che in Italia ci sia una categoria consistente di persone che non stanno bene. Trovo però che il dato del 29,9% sia abbastanza alto e faccia pensare a una certa esasperazione da parte di chi ha realizzato l’indagine.

 

Qual è l’identikit delle persone che in Italia sono sotto la soglia di povertà?

Tra le persone soggette a esclusione sociale spiccano le famiglie con più figli. E’ un mondo che ha la caratteristica di essere a rischio da qualunque punto di vista lo si consideri. A essere esposti sono anche i giovani privi di una copertura di natura familiare. Nel mondo degli anziani ci sono poi delle categorie che vanno distinte. Da un lato c’è chi beneficia di pensioni elargite con una certa generosità, dall’altra c’è il classico anziano solo che vive con la pensione minima. Tra chi ha problemi di povertà spiccano in particolare le donne sole con più di 90 anni, una categoria che un tempo era piuttosto limitata ma che con l’allungarsi dell’età media si fa sempre più numerosa.

 

Alla luce di questi dati, come valuta il nuovo Isee presentato dal premier Letta?

L’Isee è un tentativo di definire oggettivamente delle soglie di bisogno e quindi di accesso gratuito o semigratuito ai servizi pubblici. Il fatto di rimodulare queste soglie attraverso un nuovo Isee è comunque un atto doveroso. In un mondo che continua a cambiare, e in cui c’è un’evoluzione che crea situazioni di nuova povertà, è evidente che lo strumento per definire i confini debba essere aggiornato in modo costante. Non ha senso continuare ad adottare principi che valevano dieci anni fa, quando oggi le cose sono decisamente cambiate. La mossa del governo è stata semplicemente un atto tecnico di adeguamento a una realtà che è in costante evoluzione, come ci segnalano gli stessi indicatori statistici.

 

(Pietro Vernizzi)