Il 7 dicembre la Chiesa cattolica ricorda e celebra Sant’Ambrogio, una delle personalità più importanti nella Chiesa del IV secolo, tanto da venire annoverato tra i quattro massimi dottori della Chiesa, insieme a San Girolamo, Sant’Agostino e San Gregorio I Papa. La festività dedicata a Sant’Ambrogio è particolarmente sentita a Milano, la città di cui è patrono, della quale fu vescovo dal 374 fino alla morte e nella quale è presente la basilica a lui dedicata che ne conserva le spoglie. Sant’Ambrogio è nato a Treviri, in Germania, in una famiglia della nobiltà romana: il padre era governatore delle Gallie e, alla sua morte, Ambrogio tornò a Roma con la madre e la sorella Marcellina, al fine di proseguire gli studi. Apprese il greco e le arti dell’oratoria, per poi dirigersi verso gli studi legali. Una volta divenuto avvocato, l’imperatore Valentiniano decise di nominarlo governatore e di inviarlo a Milano. Nei soli quattro anni in cui dispiegò il suo operato nella città meneghina, riuscì a farsi benvolere grazie al fatto di essersi ben presto rivelato imparziale e, soprattutto, dedito al bene di tutti, con un occhio di riguardo alla parte meno fortunata della popolazione. Proprio questa sua caratteristica, oltre all’affetto guadagnato sul campo, spinse Damaso a promuoverlo vescovo, come successore di Assenzio, una promozione di grande rilievo caldeggiata proprio dai fedeli milanesi che ne avevano apprezzato le doti. Ambrogio si appellò a Valentiniano, il quale però non gli nascose di trovare molto vantaggiosa la situazione creatasi. Infine si convinse ad accettare l’incarico, che poneva sotto la sua giurisdizione buona parte del nord Italia. La sua consacrazione avvenne nel dicembre del 374. In questa nuova veste, decise di rompere i ponti con il suo passato, donando ai poveri ogni ricchezza e le sue proprietà, in particolare le terre, alla stessa Chiesa. Escluse dalla donazione solo una piccola parte dei suoi averi, destinandoli a Marcellina, che nel frattempo aveva deciso di consacrare sé stessa in qualità di Vergine nel corso di una cerimonia svoltasi nella Basilica di San Pietro alla presenza del papa, Liberio. Altra decisione presa in questo frangente fu quella di dedicarsi agli studi teologici, al fine di rimediare alla mancanza di adeguate basi in questa materia. Tra gli autori da lui studiati, vanno menzionati Atanasio, Origene e Basilio, di cui lesse tutte le opere al fine di rafforzare la sua conoscenza. Allo studio affiancò uno stile di vita improntato alla frugalità, nel quale un posto di rilievo fu ricoperto dalla preghiera. Il modo in cui operò, affascinò anche Agostino d’Ippona, il quale lo scelse in qualità di maestro della fede, dopo essere stato da lui convertito. Dopo la Messa quotidiana riservava la sua attenzione ai fedeli, in particolare a quelli che gli chiedevano di essere protetti dai soprusi da parte di chi godeva di una condizione sociale più elevata, procurandosi grande affetto dalla popolazione milanese. Quando alcuni soldati nordici sequestrarono bambini, donne e uomini nel corso di una delle abituali razzie cui si abbandonavano di tanto in tanto, fu proprio Ambrogio a decidere di far fondere i vasi della sua chiesa al fine di poterli riscattare pagando un riscatto. Fu per questo criticato dagli ariani, cui rispose che l’oro non era detenuto dalla Chiesa per custodirlo, bensì per donarlo, e che la custodia cui doveva dedicarsi era quella delle anime.



Va ricordato che proprio in quel periodo storico, la Chiesa era interessata dal problema dottrinale posto dalla predicazione di Ario, il quale negava la divinità di Cristo, visto invece come una creatura indicata da Dio in qualità di semplice strumento per arrivare alla salvezza. Il suo pensiero fece ampiamente proselitismo, affascinando anche le autorità e creando non pochi problemi per lo stesso Ambrogio. Il 386 vide lo scontro tra le due fazioni acuirsi con l’approvazione di una legge che, se da un lato autorizzava le assemblee degli ariani e la loro possibilità di possedere chiese, dall’altro bandiva all’atto pratico quelle dei cristiani cattolici. Ambrogio decise di non curarsi delle possibili conseguenze personali, rifiutandosi perciò di consegnare le chiese agli ariani. Lo scontro arrivò ad un livello tale da spingere la popolazione milanese a barricarsi nella basilica insieme al suo vescovo, per resistere all’assedio delle truppe imperiali. La situazione fu parzialmente ricomposta dall’imperatore d’Oriente Teodosio il Grande, il quale, dopo aver sconfitto Massimo, reintegrò Valentiniano costringendolo ad abbandonare l’arianesimo. Nonostante i buoni rapporti intrapresi con Teodosio, Ambrogio non esitò a condannarne gli atti, soprattutto quando questi si rese autore del massacro di Tessalonica, nel 390, con oltre settemila persone, tra cui bambini e donne, passate a filo di spada come punizione per l’uccisione del governatore locale. Il suo invito rivolto all’imperatore di pentirsi, fu infine accolto da Teodosio, procurando nuovo prestigio al vescovo di Milano. Va infine ricordato che Ambrogio prese le parti di Papa Damaso nei confronti di Ursino, l’antipapa, e proprio per metterne in risalto la funzione del successore di Pietro pronunciò l’ormai celebre frase “Ubi Petrus, ibi Ecclesia”. La sua morte avvenne il 4 aprile del 397.

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