Ciò che ho provato alla notizia delle dimissioni del Papa non è stato un vero e proprio sgomento, ma la sensazione della piccolezza davanti al mistero della storia e della provvidenza di Dio.
Questo è un tempo in cui bisogna pregare molto per la Chiesa e per il Papa, quello di adesso e quello che verrà. E’ difficile applicare davanti a un avvenimento del genere uno dei nostri criteri, politici, culturali e umani. Credo invece vada considerato questo gesto nel pensiero del mistero di Dio che si svolge in noi e intorno a noi.
Poi si può pero tentare di capire. Credo che già da un po’ di tempo Benedetto avesse lasciato trapelare una azione di questo tipo perché siamo all’inizio di una fase nuova della storia della Chiesa e del mondo. Bisogna prendere decisioni importanti e lui pensava, e l’aveva detto qualche volta, che ci volesse un Papa giovane capace di prendere decisioni, ma anche di seguirle lui stesso. Credo che lui per qualche tempo abbia aspettato la propria morte per consegnare questo successore alla Chiesa e lasciargli la responsabilità di impostare il nuovo cammino.
Però ha visto che il Signore non lo chiamava e allora ha pensato che gli si chiedesse da parte sua un gesto di umiltà, di collaborare mettendo a disposizione il suo ruolo. Un ruolo che non finisce nel cuore anche se può finire nell’esercizio dell’autorità.
E’ un gesto che è previsto dal codice di diritto canonico ed è già avvenuto nella storia della Chiesa, pensiamo a Celestino V: come è noto Dante non era d’accordo però è in corso la causa di canonizzazione e molti lo vedono come gesto di grande umiltà e di servizio alla Chiesa.
C’è da valutare anche che la Chiesa aveva già vissuto un tempo con un Papa molto anziano e malato, Giovanni Paolo II e qualcuno fa il paragone dicendo che lui era rimasto fino alla fine. In un certo senso forse proprio perché era rimasto fino alla fine, Benedetto potrebbe aver pensato che avrebbe fatto bene ad andarsene per non dare di nuovo alla Chiesa un lungo periodo con un Papa anziano e malato e quindi meno capace di dispiegare l’attività e la decisione di cui il governo della chiesa ha bisogno.
Del suo pontificato, credo che potremmo prendere il titolo della sua enciclica Caritas in veritate, per definirne l’importanza. La carità, l’amore a tutti nella verità perché non c’è carità senza verità. L’eresia del nostro tempo è invece quella di volere un amore senza verità. Ma l’amore vero non è quello di chi ti dà sempre ragione, che ti dice fa’ quello che vuoi, bensì è quello di chi ti dice la verità su di te e ti chiama anche al sacrifico e alla fatica perché questa verità possa compiersi e possa risplendere. Credo che questo sia stato il cuore del suo messaggio. Un’altra cosa lui ci ha fatto capire: questa carità nella verità è legata all’uomo Gesù e al Suo rapporto con il Padre. La carità di Dio è in Cristo e vive nel Suo rapporto con il Padre. Se separiamo queste due cose non c’è più cristianesimo.
(Testo raccolto telefonicamente e steso a cura della redazione de ilsussidiario.net)