Dopo aver ripetutamente esaminato la mia coscienza davanti a Dio, sono pervenuto alla certezza che le mie forze, per l’età avanzata, non sono più adatte per esercitare in modo adeguato il ministero petrino”. Con queste parole, pronunciate in latino durante il concistoro per la canonizzazione dei martiri di Otranto, Papa Benedetto XVI annuncia al mondo intero che dal prossimo 28 febbraio lascerà il pontificato. Eletto pontefice dal conclave del 19 aprile 2005, dopo la morte di Giovanni Paolo II, ha spiegato che “per governare la barca di San Pietro e annunciare il Vangelo, è necessario anche il vigore sia del corpo, sia dell’animo, vigore che, negli ultimi mesi, in me è diminuito in modo tale da dover riconoscere la mia incapacità di amministrare bene il ministero a me affidato”. Poco dopo l’annuncio (“un fulmine a ciel sereno”, così definito dal decano del collegio cardinalizio, Angelo Sodano), anche il direttore della Sala stampa della Santa Sede, Federico Lombardi, ha confermato di aver notato negli ultimi mesi “un po’ di stanchezza e affaticamento maggiore rispetto al passato”. Però, sottolinea, “non risulta nessuna malattia in corso che influisca su questo tipo di decisione”. Ilsussidiario.net ha chiesto un commento a Romeo Astrorri, docente di Storia e sistemi dei rapporti tra Stato e Chiesa nell’Università Cattolica del Sacro Cuore.



Come giudica la decisione di Benedetto XVI?

Nonostante si stia facendo molto per trovare altre simili decisioni avvenute in passato, credo che nessun particolare episodio storico sia paragonabile a quanto accaduto. Le dimissioni di Benedetto XVI sono del tutto sorprendenti e, anche se una simile possibilità era stata già ipotizzata con Giovanni Paolo II e con Paolo VI, come ben sappiamo non si è arrivati a una decisione del genere.



In che modo queste dimissioni sono diverse da quelle avvenute in passato?

La Chiesa è caratterizzata oggi da una dimensione di diffusione universale più rilevante di quanto non sia stata nel XII-XIII secolo. La consapevolezza della complessità della comunione delle Chiese che costituisce la Chiesa universale è dunque molto più rilevante rispetto a tutti quei periodi storici in cui vengono citati i cosiddetti precedenti, anche se poi ovviamente, dal punto di vista dell’esercizio del “munus petrino”, il problema non cambia.

Cosa accade nel momento in cui un Papa presenta le proprie dimissioni?



Il secondo comma del canone 332, introdotto da Giovanni Paolo II nel 1983, prevede che il Papa possa rinunciare al suo ufficio e che le dimissioni, per essere valide, debbano essere libere e debitamente manifestate. Non occorre ovviamente che qualcuno ne prenda atto, che le accetti, perché l’autorità del Papa nella Chiesa è suprema. Con l’annuncio dato recentemente, quindi, sappiamo che dal 28 febbraio la Chiesa è in sede vacante.

Come avverrà la successiva elezione?

L’elezione è regolata dalla Costituzione entrata in vigore nel 1996, la “Universi Dominici Gregis” di Giovanni Paolo II, con alcune correzioni che riguardano specificatamente il Conclave e che sono state introdotte proprio da Benedetto XVI.

Che tipo di modifiche?

Riguardano in particolare la votazione, in cui non è più prevista la maggioranza assoluta ma solamente i due terzi dei voti totali. Come ha fatto già sapere padre Lombardi, l’elezione del nuovo Papa potrebbe avvenire a marzo, ma la tempistica dipenderà più che altro dalle decisioni del collegio cardinalizio, che può attendere sino ad un massimo di venti giorni dalla vacanza delle sede apostolica.

Come ha reagito all’annuncio di Benedetto XVI?

Credo che quello del Papa sia un grande atto di fede, un gesto esemplare per la vita della Chiesa e per tutti i fedeli. Il peso del “munus petrino”, soprattutto dal punto di vista “umano”, è certamente molto forte e credo che Benedetto XVI lo abbia notevolmente avvertito nelle diverse fasi del suo Pontificato. Credo che queste dimissioni, quindi, si collochino proprio in una dimensione di assunzione di responsabilità davanti a Dio e davanti agli uomini.

 

(Claudio Perlini)

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