Dall’anno 40, nel quale apparve all’apostolo san Giacomo in Spagna (sul pilar, la colonna di granito ancora oggi venerata a Saragozza), la Madonna è intervenuta sulla terra migliaia e migliaia di volte. E ancora appare, in moltissimi posti, il più famoso dei quali è Medjugorje. Nel corso delle indagini che ho condotto per il mio libro su quest’ultimo caso (Mondadori) e quelle che sto facendo per il successivo (con lo stesso editore), ho dovuto riflettere in lungo e in largo sul fenomeno «apparizioni mariane», approfondendone la storia, parlando con moltissimi testimoni e anche con alcuni degli attuali veggenti (e non solo quelli balcanici). Mi sono imbattuto in testimonianze di fatti straordinari (guarigioni miracolose, segni soprannaturali nel sole e nel cielo, e perfino nelle foto e nei filmati), talvolta in numero così copioso da indurmi quasi a ritenere che fossi io l’unico a non essere mai stato gratificato da nulla del genere. Ho personalmente visitato molti dei luoghi in cui il Cielo è sceso a incontrare la terra ma ho trovato solo quel che l’uomo, poi, aveva costruito, sia in mattoni che in istituzioni assistenziali e caritatevoli. Ebbene, l’unica eccezione, per me, si è verificata proprio a Lourdes. Città di Maria se mai ve n’è una, Lourdes è stata indagata in lungo e in largo, e perfino i miracoli che vi avvengono sono analizzati e certificati da una struttura permanente, ufficiale e apposita, un comitato internazionale di specialisti non necessariamente credenti. Lourdes è diventato sinonimo, anche nel parlare corrente, di miracolo di guarigione, di ultima spiaggia dopo il fallimento e il gettare la spugna della medicina. Lourdes è, per gli occidentali, il pellegrinaggio per antonomasia, come la Mecca lo è per gli islamici (anche se per questi ultimi si tratta di un viaggio obbligatorio e non risulta che vi si lucrino miracoli). Ebbene, dicevo, solo in questo luogo sono stato protagonista di qualcosa che esula dalla – diciamo così – normalità. Qualcosa che, per giunta, era percepibile solo da me. Ed ecco quel che mi accadde. Era una tarda sera, buia e freddissima, davanti alla Grotta non c’era più nessuno, tutti i pellegrini avevano raggiunto i rispettivi alberghi. 



Avevo appuntamento con una persona, un appuntamento generico, del tipo: fatti un giro, ci vediamo poi là. Dopo un po’, mi sedetti su una delle panche che stanno di fronte alla Grotta e lì attesi. Quando finalmente la persona che aspettavo arrivò, guardai distrattamente l’orologio e mi accorsi che erano passate tre ore. Tre ore. Chi mi conosce sa quanto io sia di temperamento inquieto e nervoso. Farmi stare tre ore seduto fermo, calmo e tranquillo è pressoché impossibile. Non amo nemmeno passeggiare a zonzo perché, inevitabilmente, mi ritrovo a rimuginare e, pensiero su pensiero, arrivo non di rado a quelli disturbanti o addirittura negativi. Eppure, ero stato capace di stare lì, davanti alla Grotta di Lourdes, sereno e, anzi, senza pensare a niente. Tre lunghissime ore. Senza neppure accorgermene. Come se quella Grotta si trovasse sotto una campana di vetro pneumatica e impermeabile, e in quello spazio protetto regnasse la pace assoluta. In quella pace assoluta, così discreta che di essa mi accorsi solo dopo, io sono stato immerso, leggero come l’aria, indifferente a ogni altra cosa, consapevole che sarei potuto restare là per altre tre ore, quattro, tutta la notte. Con lo stesso effetto. Davvero Bernadette non ci ha ingannati, come recita il titolo dell’ultimo libro di Vittorio Messori, l’ennesimo su Lourdes (ma de Maria numquam satis).

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