Le intercettazioni tra il presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, e l’ex ministro dell’Interno, Nicola Mancino, dovranno essere distrutte. Lo ha stabilito Riccardo Ricciardi, Gup di Palermo, che ha depositato un provvedimento che diventerà operativo a partire da lunedì. I file audio saranno materialmente cancellati da un tecnico della società Rcs, cui sono affidati i server della Procura di Palermo. Ilsussidiario.net ha intervistato lo storico Giuseppe Casarrubea.



La distruzione delle intercettazioni chiude un capitolo nella trattativa Stato-mafia. Qual è il suo giudizio storico su questo capitolo? 

Il capitolo si chiude per quanto riguarda la vicenda che lega il Quirinale ai giudici di Palermo. Ciò non aiuta però a risolvere la questione dei rapporti Stato-mafia, semmai li rende ancora più problematici e proiettati verso il futuro. La documentazione che abbiamo dal punto di vista storiografico sui delitti commessi dai poteri criminali con la complicità di elementi dello Stato è piuttosto ricca. E’ difficile quindi chiudere tutto quanto in modo così drastico, mettendo la museruola a una questione che resta aperta.



Lei che idea si è fatto dell’intera vicenda?

La trattativa Stato-mafia non inizia nel 1992-1993 con l’uccisione di Falcone e Borsellino. La vicenda delle collusioni, delle complicità e delle alleanze inoppugnabili tra Stato, mafia e servizi di intelligence comincia con la prima strage di Stato, quella di Portella della Ginestra del 1947. Da lì si sviluppa attraverso la storia italiana con le varie vicende di stragismo e di complicità reciproche. Lungo questo periodo e lungo la linea delle stragi notiamo che c’è sempre una trattativa a monte. Per esempio nel 1947 la trattativa fu svolta da elementi dello Stato da un lato e da Cosa nostra e dalle bande organizzate a livello siciliano dall’altra.



Quali sono le prove di questa trattativa?

Su questo argomento ho pubblicato un libro, “La scomparsa di Salvatore Giuliano”, frutto di una ricerca di 15 anni in collaborazione con Mario Josè Cereghino. Quest’ultimo si è recato a Londra e New York per acquisire documenti dagli archivi nazionali dei servizi di intelligence britannici e americani.

Che cosa emerge dal suo libro?

Il punto saliente è la presenza di funzionari statali che lavoravano in combutta con organizzazioni segrete, quali per esempio l’Anello della Repubblica e Gladio, che tramavano per bloccare l’avanzata del processo democratico in Italia. Così è avvenuto nel 1947, con la consapevolezza del governo De Gasperi e di alcuni suoi ministri che parteciparono anche a determinate riunioni.

 

La trattativa Stato-mafia è proseguita anche in tempi più recenti?

 

Sì, e tutte queste vicende, che coprono 60 anni di storia repubblicana, sono accomunate dal fatto che c’è sempre qualcosa che scompare. Per esempio nel 1947 scompare il terzo memoriale di Salvatore Giuliano, dove quest’ultimo indicava tutti i suoi mandanti di delitti che servivano a bloccare il movimento dei lavoratori italiani. Nella vicenda Moro scompare il memoriale dello statista assassinato, nel caso Calvi sparisce la borsa del banchiere, e lo stesso avviene per la valigetta che Carlo Alberto Dalla Chiesa portava con sé.

 

Queste “scomparse” sono avvenute anche di recente?

 

Sì, per esempio con l’attentato a Borsellino scompare l’agenda rossa del magistrato. In tutte queste storie lo zampino dei servizi segreti è sempre presente. Mi chiedo quindi come si possa riuscire a impedire ai magistrati di sondare non tanto l’operato del presidente Giorgio Napolitano, che ha diritto alle sue prerogative, ma anche quanto avviene fuori dall’ambito del Quirinale e che tende dall’esterno a condizionare lo stesso Stato per limitare la democrazia.

 

Alla fine l’obiettivo della mafia che puntava a condizionare lo Stato si è rivelato fallimentare?

 

Io non lo definirei così fallimentare. Ancora oggi noi non conosciamo i nomi di tutti i mandanti delle stragi che si sono verificate nel nostro Paese. Senza che ciò avvenga non è possibile parlare di democrazia reale, perché i familiari delle vittime hanno il diritto di sapere chi sono i responsabili e chi ha pagato perché si compissero questi delitti. Per fortuna nonostante ciò si è mantenuto un sistema democratico, ma se noi perdiamo la memoria del passato rischiamo di ritornare a periodi bui della nostra storia. C’è stata una democrazia che avrebbe potuto essere pienamente realizzata, e che non lo è stata proprio perché molti fatti sono rimasti misteri.

 

(Pietro Vernizzi)