Emozione e turbamento. Così il governo tedesco ha commentato la notizia delle dimissioni del papa. E in queste due parole sono racchiusi i sentimenti di molti di noi di fronte ad una decisione che non si verificava da molti secoli.
Come sappiamo, fede e ragione sono stati i due grandi fari del pontificato di Benedetto XVI che li ha sempre considerati gli elementi distinti, ma inseparabili, di quel ceppo su cui il cristianesimo si è fondato nei secoli. Senza fede non c’è audacia, non c’è slancio creativo, non c’è dinamismo. La fede, infatti, è da una parte il dono che ci àncora saldamente a Dio; ma, dall’altra, essa è il desiderio che ci spinge a “prendere di nuovo il largo”. E che, proprio per questo, senza cadere nell’azzardo del nulla, ci da la possibilità di fare quel passo, non garantito, che da soli non riusciremmo a fare. Spingendoci ben al di là delle nostre forze.
Senza ragione non solo mancherebbe il timone – che ci permette di navigare nel mare, a volta tempestoso, della vita – ma non ci sarebbe nemmeno capacità di relazionarci con la realtà fisica e storica nella quale siamo immersi. La ragione, infatti, e il dono che Dio ha fatto all’uomo per leggere la natura e la storia così da ricondurle ad un senso. Papa Ratzinger ha meditato a lungo su questo passo. Come dimostrano le sue risposte presenti nel libro-intervista del 2010, da tempo andava meditando su questa decisione, attendendo il momento propizio per una transizione serena e senza scosse.
Come ha dichiarato nel momento in cui l’ha comunicata, la sua decisione è frutto di una intensa preghiera, quasi una lotta spirituale ingaggiata con lealtà per cercare di capire se e quando tale decisione potesse essere presa. Una decisione, dunque, presa per e nella fede.
Eppure, allo stesso tempo, una scelta maturata alla luce di una valutazione razionale che lo ha reso consapevole del crescente squilibrio che si è venuto a determinare tra l’allungamento della vita umana – compresa quella dei papi – e la enorme complessità del governo di una grande chiesa planetaria. Uno squilibrio, che a certi livelli, diventa semplicemente insostenibile.
In questo modo, un papa definito dalla pubblicistica “conservatore” ha rivelato ancora una volta – come era già successo diverse volte in questi sette anni – cosa vuole dire essere davvero un uomo libero. Capace cioè di decisione responsabile. Quella libertà che lo ha portato a un atto di autentica innovazione.
Come un padre premuroso, attento al futuro della casa nella quale egli stesso si è nutrito e nella quale continueranno a crescere i suoi figli, il papa ha preparato tutto meticolosamente. P. Lombardi, nella conferenza stampa tenuta subito dopo, ha ricordato l’articolo del codice canonico che prevede questa eventualità – e che nella storia della Chiesa ha più di un precedente.
Ha poi notato che la comunicazione è stata data ai cardinali riuniti in Concistoro, sfruttando un’occasione che non si presenta tutti i giorni. E che anche la scelta del momento liturgico non è casuale: guardando avanti, sarà possibile avere il prossimo pontefice pronto per la settimana Santa e la festa della Pasqua, la più importate del calendario religioso. Una cura dei dettagli che rivela la piena lucidità di Ratzinger e la sua premura per la Chiesa.
Infine, anche con questo difficile passaggio, Benedetto XVI rende piena testimonianza a un’idea di potere come servizio. Sappiamo che Ratzinger non ha mai cercato il potere. Nemmeno quello ecclesiale. Anzi, egli ha assunto posizioni d massimo livello sempre con totale spirito di servizio, quasi facendoci avvertire – lui che è un gigante – come si sentisse inadeguato. Proprio perché consapevole dell’impegno e della responsabilità che ogni ufficio porta con sé. Nessuno, sembra dirci il papa, è insostituibile dal punto di vista del cammino della Chiesa, perché è lo Spirito, non la potenza umana, ad essere decisivo.
Per questo, anche nel gesto che oggi ci consegna traspare una straordinaria levità. Negli occhi del papa, mentre leggeva quelle poche righe, si scorgeva tutta la serenità di un uomo essenziale, capace di spogliarsi di una posizione di potere per il bene della Chiesa che ama. E lo può fare perché non ha mai dimenticato la lettera del Vangelo per cui colui che vuole essere il primo deve essere l’ultimo.
Lo shock culturale di queste ore rimane grande. Non mancano i timori. E non mancheranno le critiche. Ma, se alziamo lo sguardo dove Benedetto ci indica, quello che vediamo è un grande un atto di straordinaria evocazione spirituale: come fedeli siamo sempre nelle mani del Padre che ci protegge e ci guida; come uomini siamo sempre tramite di un’azione di più grande che ci attraversa e ci oltrepassa.