Giornalista televisiva, autrice di libri di successo che analizzano il matrimonio (Sposati e sii sottomessa e Sposala e muori per lei) in modo certo non convenzionale, almeno per la mentalità odierna, Costanza Miriano ha le idee chiare su uomo, donna e convivenza. E’ un impegno anche faticoso, ha detto a ilsussidiario.net, ma è attraverso la fatica che si diventa adulti e si può vivere felicemente: “San Valentino è la festa degli innamorati mentre noi siamo per l’amore che viene dopo l’innamoramento, quello che si costruisce giorno dopo giorno. Dopo l’innamoramento c’è una cosa molto più bella che è l’amore, precluso a coloro che vivono passando di passione in passione. L’amore che viene dopo conduce a vette accessibili solo a quelli che resistono capaci di preservare nell’impegno”.
Nei suoi libri lei ha scritto che sposarsi è la sfida dell’impegno. Perché?
L’impegno è una cosa buona per noi, non è cioè un dovere. Non è un dover essere ma è quello che ci custodisce e ci fa fiorire e alla fine ci rende felici. L’idea del matrimonio può essere vincente perché può far capire all’uomo contemporaneo che ci sente da un orecchio solo e cioè quello della felicità e non del dovere, che l’obbedienza a una chiamiamola regola, a qualcosa di superiore alla mia istintività, alla mia emotività, è qualcosa che ci custodisce dallo spontaneismo dilagante.
E’ però un impegno faticoso.
Ma ci preserva anche da fare tanti errori. Essere fedeli a qualcosa di più grande di noi è ammettere che l’uomo non può completamente auto determinarsi. Siamo liberi certamente, anche di sposarci o meno, però la libertà custodisce l’uomo, l’obbedienza a una regola lo rende felice. Conoscono tante persone che hanno disfatto il matrimonio e poi si sono pentite. Per distruggere un matrimonio basta un attimo come una bomba in una cattedrale, per costruire la quale ci sono voluti centinaia di anni e basta un niente per distruggerla.
Costruire è invece più gratificante. Rimane che oggi si vive con la paura di fare fatica.
Siamo tutti infantili in questo, vogliamo il latte caldo e il conforto immediato e gratuito. Ma invece è necessario crescere anche perché è più bello. E’ più bello essere adulti che bambini. Alla fine un bambino non è veramente libero, è schiavo delle sue emozioni e del suo istinto, del suo desiderio di affetto, che è giusto per un bambino. Ma un adulto deve essere davvero libero e libertà è dominarsi, libertà dall’egoismo, da quello che ci fa stare male.
Lei parla anche di “razze diverse”, uomo e donna: e il concetto di uguaglianza di cui tutti si riempiono la bocca?
Uomo e donna sono due razze diverse nel senso che esiste una profonda alterità tra uomo e donna che rimanda poi all’alterità con Dio. Uscire da sé, riconoscere di non essere completamente autosufficienti ma di aver bisogno di sposarsi è un riconoscere di non bastare a se stessi abbracciando l’altro in modo definitivo.
Riconoscere la presenza di un altro?
Riconoscere le differenze e valorizzarle, smettere di competere in casa o al lavoro. Abbiamo talenti diversi, non dobbiamo pretendere l’uguaglianza banale come il dividersi i compiti a metà. Quando mi capita di presentare i libri c’è sempre chi mi chiede chi in casa nostra lava i piatti. Io non rispondo. Il vero rispetto della diversità va oltre la divisione delle mansioni.
Ma in cosa sono diversi veramente uomo e donna?
Hanno uno sguardo diversissimo sul mondo. E’ lì che si gioca una complementarità spirituale, non su chi lava i piatti dei due. La differenza non la vede solo chi è accecato dall’ideologia, è talmente evidente che siamo diversi uno dall’altro, l’uomo e la donna hanno un carisma diverso. Giovanni Paolo II diceva che Dio affida l’umanità alla donna, che ha il carisma dell’accoglienza, di custodire la vita, la mediazione. La donna è colei che accoglie.
E l’uomo che fa?
L’uomo invece è spinto verso l’esterno, verso il modificare il mondo, verso la sua costruzione. Sono due vocazioni profondamente diverse che si completano a vicenda.
Lei parla anche di uomini immaturi che hanno perso il loro ruolo virile, paterno, autorevole. Come ha fatto l’uomo a perdere questo ruolo e come può recuperarlo?
Nei miei libri sono partita dalla donna, me la sono presa con le donne perché penso siano state le donne ad alterare il rapporto uomo-donna. Le donne hanno voluto assumere una identità maschile e di conseguenza hanno alterato questa polarità. L’uomo si è femminilizzato. A scuola si fanno i complimenti al padre che cambia i pannolini: niente di male, ma la madre insegna a vivere, il padre insegna ad accogliere le frustrazioni, a sopportare su di sé la frustrazione del figlio quando la madre, che è così profondamente congiunta al figlio a cui ha dato la vita, non si sente mai o quasi di dire di no.
Il padre come figura autorevole è stato accusato di essere solo autoritario e perciò combattuto.
La madre è sempre accogliente, giustifica. Il padre rappresenta la regola, che è il bene del figlio. Il padre deve dire: qui c’è un muro e non si passa. Lo fa per il bene del figlio, perché non vada a sbattere su quel muro. Riusciamo a essere profondamente padri e madri rispettando i ruoli e mai contraddicendoci davanti ai figli. Solo con un uomo e una donna i figli crescono bene, contrariamente a quanto si vuol dire oggi.
Cioè che non hanno bisogno del padre e della madre?
Oggi assistiamo a una carenza mostruosa della figura paterna. I padri faticano a dire di no ai figli, viviamo in una società della gratificazione immediata, non sappiamo dire no a noi stessi e quindi neanche ai figli.
Questo discorso ci porta verso il matrimonio gay. Ad esempio in Francia oggi si discute anche di adozione da parte degli omosessuali.
L’obiettivo ultimo delle battaglie per il matrimonio gay è il diritto al figlio. I diritti gli omosessuali già li hanno, anzi vorrei approfittare per ribadire cosa i giornali non dicono mai. Le coppie di fatto sono favorite in modo scandaloso rispetto alle coppie sposate. I conviventi che si sposano perdono i diritti alle agevolazioni, agli assegni, devono sommare i redditi, cosa che invece quando sono solo conviventi non fanno. Per cui non si sposano o si separano in modo fittizio perché conviene non sposarsi, conviene esser conviventi. Queste coppie che siano etero o omosessuali non hanno nessun diritto da rivendicare, sono favoriti. Oggi c’è l’eterofobia non l’omofobia: le famiglie sposate sono profondamente penalizzate.
Ci spieghi meglio questo concetto.
Le famiglie sono penalizzate da un punto di vista economico, accesso agli assegni familiari, agli asili nido, agevolazioni fiscali. C’è una propaganda incredibile sui giornali, sembra che le famiglie siano tutelate dallo stato ma non è così. Le faccio un esempio: quando ho avuto un incidente mio marito è venuto in ospedale e nessuno gli ha chiesto il certificato matrimoniale. E allora perché i giornali continuano a scrivere certe bugie? Certo, non so cosa sarebbe successo se fosse stato necessario un consenso a un’operazione. Ma questo mi sembra il minimo. Avere contratto l’impegno di essere uniti per sempre, dando una famiglia stabile ai nostri figli, un bene per tutta la società, facendoci carico di tutti i loro bisogni dovrà pur valere qualcosa, o no? Chi pagherà le pensioni dei single? Se le famiglie regolari facessero un bello sciopero fiscale, e smettessero di pagare gli assegni familiari ai conviventi?
E il diritto al figlio cosa sottintende?
Il figlio non è un diritto di nessuno, neanche delle coppie sposate, viene o non viene. Il figlio è un dono. E perché un figlio cresca bene ha bisogno di padre e madre. Gli omosessuali siano liberi nel loro privato di vivere la sessualità che vogliono, ma anche su questo si raccontano falsità: che siano discriminati non è vero, chi ha mai chiesto a un cuoco o all’edicolante con chi vanno a letto? Non interessa a nessuno. Il vero obbiettivo è il diritto al figlio. La libertà di ognuno è sacra ma i figli sono più sacri ancora della nostra presunta libertà.
Abbiamo però assistito a un caso indicativo, la Cassazione che pronunciandosi su un affidamento a una coppia di donne, ha detto che non esiste nessuna prova che un figlio non possa crescere in modo sano anche con due genitori dello stesso sesso.
Non conosco nei dettagli la vicenda, ma per come è riportata dai giornali è molto particolare, e non può essere certo eletta a caso esemplificativo, generale… C’è un padre violento, ma c’è anche una terapeuta di una comunità per tossicodipendenti, se non ho capito male. Anche quello è un caso molto molto particolare. Di solito le relazioni tra terapeuta e assistito sono profondamente sconsigliabili, perché non si tratta di un rapporto alla pari. Chissà, ma la mia è solo un’ipotesi, ripeto, non conosco i fatti a fondo, forse se il terapeuta fosse stato uomoci sarebbe stata una cautela in più. E’ un’ipotesi, ripeto. Non è che ci troviamo di fronte a un caso di eterofobia? Per giudicare bisognerebbe conoscere bene i fatti, le sentenze non si commentano così. Posso dire che, al contrario di quanto sostiene la propaganda di Arcigay e simili, io credo che ci siano pregiudizi positivi nei confronti degli omossessuali, e tendenzialmente negativi nei confronti degli uomini eterosessuali. Mi spiega sennò come possa essere successo che le coppie di persone dello stesso sesso si chiamano famiglie arcobaleno, quando invece sono quelle a tinta unita, perché composte da due uguali?
Siamo alla vigilia di San Valentino, la festa degli innamorati, festa che è diventata la celebrazione del sentimentalismo e della banalità. Per lei che cosa è?
San Valentino è la festa degli innamorati mentre noi siamo per l’amore che viene dopo l’innamoramento, quello che si costruisce giorno dopo giorno. Dopo l’innamoramento c’è una cosa molto più bella che è l’amore, precluso a coloro che vivono passando di passione in passione. L’amore che viene dopo conduce a vette accessibili a pochi; a quelli che resistono, capaci di preservare nell’impegno.
(Paolo Vites)