Decenni fa cominciai la mia carriera (chiamiamola così) sui giornali con un una rubrica quotidiana su Avvenire. Era una cosa piuttosto corposa e campeggiava proprio sotto la testata. Il Santo del Giorno. Poi, una volta, ebbi la malaugurata idea di dare del «paranoico» a Bartolomé de Las Casas proprio in quello spazio e ciò mi fu fatale. La mia opinione su quel personaggio non è mutata, ma a quel tempo Giovanni Paolo II era appena andato in Sudamerica e lo aveva citato benevolmente. Io scelsi dunque un momento poco opportuno per esternare il mio modestissimo parere. Così, presi la competenza accumulata e la portai dritto al Giornale, foglio laico che ancora oggi mi ospita, anche se il Santo-elzeviro che era all’inizio si è via via ridotto al Santo-oroscopo qual è adesso. 



Cioè: cominciò con un «Santo del giorno» usato come scusa per sferzare i costumi dell’uomo contemporaneo sempre più scristianizzato. Ora mi è rimasto solo lo spazio per una striminzita biografia del Santo del giorno. Per forza, c’è la crisi: i giornali campano riportando gli scontri omerici tra Berlusconi e Bersani, le sentenze epiche di Casini e Fini, le discese ardite e le risalite – in campo – di Monti, Grillo, Ingroia. Ciò paga gli stipendi e manda avanti la baracca, mica i Santi. Ma io, specialmente i primi anni, avevo mosso i miei passi nelle patrie lettere producendo proprio volumi sui Santi: i Santi militari, i Santi protettori, i Santi dimenticati… Ora, poiché quell’iniziale “elzeviro” veniva letto – più che altro per curiosità – da tanti (anche gente che del Giornale sbirciava solo quello, come molti insospettabili mi confessarono), nella mente di tanti fui classificato come «santologo», cioè esperto di santi. 



Dovete sapere che i giornalisti hanno nella testa una serie di scaffali, ognuno dei quali reca un’etichetta. È il mestiere che li costringe. C’è da fare un pezzo, veloce, bisogna andare in pagina, occorrono due righe di intervista. Si parla di meteoriti? Si telefona a Margherita Hack. Il tema è la psichiatria? Crepet. E così via. Alla fine il lettore (o lo spettatore, è lo stesso) finisce per credere che in Italia ci sia un solo astronomo, un solo ateo, un solo criminologo, eccetera. Naturalmente, costoro, più li chiamano e più vengono chiamati. Ebbene, così accadeva a me quando si trattava di Santi. Ancora oggi, per esempio, attendo con terrore l’avvicinarsi del 14 febbraio perché infallibilmente qualcuno mi chiederà un articolo o un’intervista su san Valentino. E io non mi sento più di dire tutti gli anni sempre le stesse cose. Anche perché ormai la storia di san Valentino la sanno tutti, basta appostarsi all’edicola in concomitanza col 14 febbraio. 



Dunque, almeno qui, almeno oggi, scordatevi che io vi narri per l’ennesima volta in quale secolo visse, quando fu martirizzato, quale papa ne autorizzò il culto, cosa c’entrano con lui gli innamorati. Se volete, tanto per cambiare, potrei raccontarvi la vicenda di un altro san Valentino, quello di Passau, che ha il solo torto di non far guadagnare un cent alle industrie dolciaria, gioielliera, del cadeau, dei fiori e dei ristoranti al lume di candela. E poi, san Valentino beneficava i fidanzati che volevano sposarsi ma non avevano i mezzi. Oggi, gli unici che vogliono sposarsi sono i preti e i gay. Gli altri non hanno certo bisogno di scomodare i Santi per fare quel che vogliono. Dunque, almeno qui e almeno per oggi, lasciamo in pace quel povero martire. Semmai, se proprio ci si tiene, onoriamolo come si deve: una candela e una preghiera. Almeno qui, almeno oggi, almeno noi.