Una coppia omosessuale residente a Pordenone si è vista rifiutare il diritto al “Contributo Prima Casa” garantito dalla Regione Friuli-Venezia Giulia. L’unione era stata riconosciuta dal Comune di residenza come “Famiglia anagrafica basata su vincolo affettivo”. Ha quindi pensato di richiedere in quanto coppia il contributo della Regione, il quale del resto è erogato anche ai singoli residenti. La Banca Mediocredito del Friuli-Venezia Giulia ha però rifiutato il finanziamento. Ilsussidiario.net ha intervistato Francesco D’Agostino, membro del Comitato nazionale per la bioetica e della Pontificia accademia per la vita.
Professore, che cosa ne pensa di questo presunto caso di discriminazione che ha portato alla negazione di un diritto di una coppia gay?
Le argomentazioni a favore dei diritti delle coppie gay sono pennellate di un dibattito ideologico che non ha un autentico fondamento sociale. Chiamo ideologica ogni pretesa che non risponde a bisogni reali dei cittadini, ma a una loro soddisfazione psicologica. Capisco che una coppia gay possa soggettivamente desiderare il matrimonio. Non ho mai trovato però un argomento forte di tipo sociale che spieghi perché il matrimonio gay possa avere un valore socialmente oggettivo e non soggettivamente emotivo.
Entriamo nel caso specifico. Ritiene che la banca si sia comportata in modo rispettoso della legge?
Repubblica con molta correttezza sottolinea che la domanda di finanziamento per la prima casa poteva essere presentata non solo da coppie, ma anche da singoli. A questa coppia è stato comunicato che se avessero presentato domanda come singoli, probabilmente il finanziamento sarebbe stato erogato. La richiesta di finanziamento è stata quindi fatta dalla coppia non per avere una risposta ad autentiche necessità sociali, ma a fine dimostrativo o se vogliamo provocatorio.
A chi giova distinguere tra coppie etero e gay al momento dell’assegnazione di un contributo sulla casa?
L’assegnazione di abitazioni o di finanziamenti per l’acquisto della prima casa dovrebbe rigorosamente privilegiare le coppie generative, cioè quelle la cui prospettiva è non solo di formare una famiglia ma anche di avere dei figli. La Costituzione afferma esplicitamente che la Repubblica deve promuovere politiche di sostegno alle famiglie nel senso generativo del termine. Questa indicazione oggi è ampiamente dimenticata, eppure si vogliano parificare le coppie generative e quelle omosessuali, degne di ogni rispetto dal punto di vista personale, ma che a mio avviso non rientrano nel dettato della Costituzione. Ciò non fa che aumentare la confusione che caratterizza la politica sociale di questi ultimi anni.
Resta il fatto che la coppia omosessuale aveva ottenuto il riconoscimento nel registro del Comune di Pordenone.
Diversi Comuni hanno stabilito queste categorie anagrafiche, il più delle volte per coprire le coppie di fatto. In questo modo trascurano però altre forme di convivenza che in linea generale sarebbero del tutto meritevoli di rispetto, come quelle tra fratello e sorella.
Le coppie gay non andrebbero riconosciute almeno sul piano del diritto privato?
Lei però sta citando un fatto che non è privato ma pubblico. Stiamo parlando dell’assegnazione di mutui agevolati, che presuppongono una graduatoria e una valutazione comparativa, in particolare quando i fondi da erogare siano scarsi. Il diritto privato è quello gestito completamente da soggetti privati, senza alcun riferimento che vada al di là della loro privatezza. Se una coppia presenta un’istanza a un ente pubblico come il Comune o la Regione, entra nella logica del diritto pubblico.
Quali sono quindi i diritti di una coppia gay?
Nessuno nega che una coppia gay abbia tutto il diritto di convivere privatamente e senza alcuna discriminazione esterna. Il problema è quando la coppia gay pretende un riconoscimento pubblico identico o equiparabile a quello delle coppie sposate. E’ a questo livello che non si trovano ragioni sociali, cioè pubbliche, per accettare questa richiesta e ciò che essa comporta.
Che cosa ne pensa invece dell’equiparazione per quanto riguarda il diritto di fare testamento o di assistere il convivente in ospedale?
Sono tutti pretesti. Il diritto di fare testamento è sovrano, e quindi chiunque può fare testamento e lasciare le sue sostanze allo Stato, al convivente, ai parenti in America o alla Chiesa. Il diritto di assistenza in ospedale del convivente gay sicuramente non è formalizzato dalla legge. Ma chi conosce la pratica sanitaria italiana e la difficoltà da parte degli ospedali di assistere adeguatamente gli ammalati, sa benissimo che le strutture di cura sono ben felici che non solo i parenti, ma anche gli amici vengano a prendersi cura dei loro cari.
(Pietro Vernizzi)