L’aveva detto il 17 settembre scorso. Se riesco a conservare i fondi per il lavoro carcerario tornerò. Il ministro di ferro con il guanto di velluto (definizione d’autore a cura di Luciano Violante) ha mantenuto la promessa. Ha resistito a più di un tentativo di scippo istituzionale. Anzi a un certo punto, come sgradito regalo di Natale, i 27 milioni per il finanziamento della legge Smuraglia se n’erano proprio volati via, scomparsi con un gioco di prestigio in sede di commissione bilancio del Senato. Non avevano fatto i conti con Paola Severino, ben sostenuta dall’alleanza delle cooperative italiane. Nel giro di poche settimane la penalista napoletana, dimostrando di non sentirsi per nulla a fine mandato, ha recuperato 16 milioni vincolandoli solo al lavoro carcerario. E al centro congressi Padova “Luciani”, nella città in cui aveva fatto la formale promessa, ha portato con sé il testo del decreto della presidenza del consiglio dei ministri in cui i 16 milioni forse meglio investiti dall’attuale governo sono stati reindirizzati all’obiettivo giusto.



Il convegno padovano, pur rimandato di un giorno per problemi istituzionali della Ministra, è riuscito “miracolosamente” (Severino dixit) a radunare un pubblico di oltre 500 persone con – sono sempre parole della titolare di via Arenula – «la rappresentanza vera del carcere: agenti, direttori di varie carceri, imprenditori, cooperative, magistrati, università, volontari». Sintetico il tema: “Lavoro – carcere – giustizia – imprese”. Moltissime le autorità presenti nelle prime file, con saluti istituzionali del prorettore dell’Università Guido Scutari (incombente il varo di una convenzione con il ministero della Giustizia per i corsi in carcere), del vicepresidente nazionale Federsolidarietà Ugo Campagnaro, del sindaco Flavio Zanonato, che ha raccontato dell’impiego di detenuti nei lavori socialmente utili, ad esempio come spalatori dopo le grandi nevicate dei giorni precedenti, e del componente del Csm Giovanna Di Rosa. Significativi molti passaggi dell’intervento di Di Rosa, magistrato di sorveglianza, che ha parlato del lavoro penitenziario come «elemento fondamentale per aprire le porte del carcere, ma anche come punto di appoggio al magistrato che deve concedere i benefici ai detenuti».



I dati del problema sono esposti da Nicola Boscoletto, presidente del Consorzio sociale Rebus organizzatore dell’incontro assieme a Ministero della Giustizia, Università di Padova e Confindustria Padova. I detenuti che fanno lavori veri (non i cosiddetti lavori domestici) sono 900 su 66mila, 2200 se si considerano anche gli “articoli 21” e i semiliberi. Il costo giornaliero di un detenuto è di 250 euro «ma calcolato per difetto». E la recidiva è stimabile al 90% (i dati ufficiali parlano di 69%, ma riguardano solo quelli che vengono riacciuffati): per chi lavora invece – e anche il ministro conferma con i primi dati ufficiali sull’argomento – si abbassa al 2%. Ecco perché i soldi investiti in lavoro carcerario sono spesi bene: «Ogni milione investito», riporta Boscoletto «ne fa risparmiare altri 9».



Seguono gli interventi di chi sul carcere ha scommesso sul serio. Ad esempio, Confindustria, che con Enrico Berto sottolinea l’importanza della componente imprenditoriale del lavoro in carcere, del presidente del gruppo Mantovani Piergiorgio Baita, che ha allo studio una “cittadella della sicurezza” pensata come centro di detenzione ma anche di uffici giudiziari strutturati con criteri futuribili. Di cultura della responsabilità sociale parlano Cesare Pillon, amministratore delegato del Gruppo AcegasAps e Marina Bastianello, vicepresidente della Fondazione Cassa di Risparmio di Padova e Rovigo.

La parola passa a Luciano Violante, definito da Boscoletto «insieme con il ministro Severino in questi ultimi due anni il nostro compagno di viaggio e sostenitore più importante». Un intervento di ampio respiro che si concentra sulla necessità di una politica pubblica che non sia frutto di un sentimento pietistico e «che porti il carcere fuori dalla marginalità in cui si è trovato fino a oggi». Per Violante politica moderna e civile significa responsabilità e riconciliazione insieme: «Chi ha sbagliato deve pagare, ma pagare significa ricostruire i legami con la comunità che il delitto ha interrotto». Con due filoni di intervento principali, per chi resta dietro le sbarre: l’università e il lavoro. «Attorno a questi due profili cambia il modo di concepire il carcere. Auguro», conclude l’ex presidente della Camera, «che da Padova nasca una rete che coinvolge tutto il Paese».

È infine il turno della ministra, che ricorda di aver visitato in questi mesi più di 25 istituti penitenziari e di essere sempre entrata nei reparti più difficili. E inoltre di aver incontrato una quantità enorme di persone «in cerca di nuove chance». Il lavoro penitenziario, ricorda Severino, è parte integrante del trattamento e della rieducazione della persona, è «una delle grandi chiavi alla soluzioni del problema carcere». Eppure è difficile spiegare alle persone perché il lavoro carcerario dev’essere sostenuto dallo stato. Ma «lavoro è anche dare formazione, investire in attività che all’inizio sembrano non essere fruttuose», spiega. E ora che c’è questo piccolo patrimonio da investire «neanche un euro dev’essere utilizzato male».

Per questo è lei stessa a chiedere alle cooperative sociali (in sala presenti le rappresentanze di tutte le coop impegnate nel mondo del carcere in Italia) quale potrebbe essere il modo migliore per spendere i fondi. «Dobbiamo ancora decidere di quanto aumentare gli incentivi per l’inserimento dei detenuti nelle attività lavorative. Cosa ne pensate? Il ministero non vuole lavorare da solo». Gli sgravi della Smuraglia non sono adeguati, «occorrerà una riflessione comune in materia». A questo punto la ministra si accorge di continuare a parlare «come se come la mia attività dovesse durare chissà quanto». Ma prima che il mandato finisca, assicura, vuole definire nei dettagli l’applicazione della legge. Visti i precedenti, c’è da credere che ci riuscirà.

Unanime d’altra parte la richiesta di cooperative e Confindustria, di aggiornare quanto prima le vecchie agevolazioni previste dalla legge Smuraglia e di tracciare un solco ben definito per il governo che si insedierà, visto che alcuni di questi provvedimenti dovranno essere per forza di cose assunti dal prossimo governo del Paese.

 

(Ione Boscolo)