Questa volta potremmo essere davanti a una di quelle sentenze che cambia radicalmente la storia giuridica di una nazione. La Corte europea dei diritti umani ha stabilito che nelle coppie omosessuali i partner hanno il diritto ad adottare i figli dei compagni, cosi come avviene per le coppie eterosessuali non sposate. Il caso è quello di due donne omosessuali austriache che hanno fatto ricorso contro la giustizia di Vienna che vietava la pratica consentita alle coppie formate da persone di sesso diverso. Sentendosi discriminate, le due donne hanno fatto ricorso, e oggi l’Alta Corte ha dato loro ragione, creando un precedente che potrebbe stravolgere le leggi sull’adozione da parte di coppie omosessuali nei paesi dove abbia riconoscimento giuridico l’unione di persone dello stesso sesso. In Italia, per ora, non esiste questa possibilità, perché attualmente sia Codice civile che Costituzione italiana indicano con chiarezza che la diversità di sesso dei coniugi costituisce il presupposto indispensabile del matrimonio e che solo a tale forma di unione il legislatore riconosce la possibilità di accedere all’adozione di bambini.



Ma cosa succederebbe se un domani, forse non troppo lontano, il Governo decidesse di regolamentare le coppie di fatto? Se i principi enunciati dalla Grande Camera di Strasburgo valgono per tutti gli stati membri del Consiglio d’Europa, quali riflessioni si potrebbero fare? Quesiti che sono stati rivolti all’Avvocato Alberto Gambino, professore ordinario di Diritto privato e di Diritto Civile dell’Università Europea di Roma.



«Il ragionamento da fare è il seguente – esordisce Gambino – in Italia per poter adottare un figlio occorre essere sposati. Per quale motivo? Perché il matrimonio è un’unione giuridicamente riconosciuta e tendenzialmente assicura stabilità e quindi è una tutela in più nei confronti del bambino che non ha davanti a sé una situazione precaria, ma che viceversa comporta la possibilità di un accoglimento nel tempo».

Fatta questa doverosa premessa, cosa succederebbe se in Italia venissero riconosciute le coppie di fatto?

Se si dovesse riconoscere anche la convivenza non fondata sul matrimonio, sia di tipo eterosessuale, sia di tipo omosessuale, avremmo un modello giuridico che anch’esso in qualche modo assicura una stabilizzazione e quindi la motivazione per cui oggi non si possa adottare se non uniti in matrimonio verrebbe meno, perché avremmo altri tipi di unione stabili riconosciute dal diritto e che dunque consentirebbero di ipotizzare anche in questo caso un accoglimento nel tempo dell’eventuale figlio. A questo punto, poiché la sentenza di Strasburgo dice che non si può discriminare una coppia omossessuale da una eterosessuale negli ordinamenti dove è riconosciuto che anche alle convivenze di fatto è garantito il diritto di adozione bisognerà prevedere che anche le coppie omossessuali possano avere lo stesso diritto.



Quindi anche le coppie omosessuali avrebbero il diritto di adottare un figlio?

Se avessimo questo tipo di legge sì. Con il riconoscimento delle coppie di fatto avremmo convivenze stabili non fondate sul matrimonio e quindi non ci sarebbero più differenze se queste fossero etero o omosessuali perché la sentenza di Strasburgo è stata chiara e mira ad evitare discriminazioni in questo senso. Una coppia dello stesso sesso unita in una forma di convivenza riconosciuta, con, quindi, la stabilizzazione del rapporto, potrebbe adottare, ovviamente seguendo il ragionamento di Strasburgo. Se, invece, dovessimo seguire un ragionamento antropologico diremmo che: mentre le coppie eterosessuali danno al figlio un completamento in termini di personalità, nel caso in cui ci fossero due persone dello stesso sesso ci sarebbe una sorta di forzatura: un bambino non avrebbe più il modello madre e padre, ma un unico modello di persone dello stesso sesso.

L’Unione Europea, invece, come intende il concetto di famiglia?

L’Unione Europea lo sta intendendo in un’ottica di famiglia privata direi quasi di famiglia artificiale. Come ha visto anche la decisione di Strasburgo si ricollega al diritto della vita privata e famigliare: coltivare i propri affetti implica che si stia creando artificialmente una famiglia a prescindere dal fatto che questa sia fondata sul matrimonio o meno. In realtà è la scelta privata degli affetti che fa nascere un concetto di vita famigliare che deve essere rispettato e non discriminato. Dunque, all’interno di questo contesto i conviventi seguono quelli che sono i loro desideri e bisogni, anche quello di adottare un figlio. Ovviamente, però bisogna tenere presente che c’è un “terzo incomodo”: il bambino stesso che ha dei diritti (a volte trascurati), che non sono quelli di avere davanti a sé, nella fase più delicata della sua vita, due uomini o due donne che lo allevano ma il diritto, invece, di vedere rappresentato ciò che è naturale e cioè di relazionarsi con due figure genitoriali, una maschile e una femminile.

(Elena Pescucci)