Il Si della Corte europea all’adozione dei figli del convivente gay si colloca lungo una chiave interpretativa del diritto che da tempo viene ripetendo: tutte le coppie hanno gli stessi diritti. Per quanto riguarda la Convenzione europea dei diritti dell’uomo gli articoli di riferimento sono due: l’articolo 8 che esige il rispetto per la vita privata e familiare delle persone e l’articolo 14 che impone il divieto di discriminazione. Anche quando si tratta di coppie diverse tra di loro, come accade per le coppie formate da due donne o da due uomini o per le coppie formate da un uomo e da una donna. O di coppie che hanno contratto un vincolo forte davanti alla società rispetto a coppie che hanno scelto di mantenere un livello di libertà e di reciproca autonomia tra di loro, come molte delle coppie di fatto. Riconoscere e ammettere la diversità delle situazioni e dei contesti sembra diventare automaticamente una sorta di discriminazione penalizzante che va rimossa, fino a punto di negare l’oggettività di un dato come la diversità.



La premessa della Corte europea è quindi che tutte le coppie, comunque siano formate e qualunque sia il vincolo che le lega, abbiano gli stessi diritti. I giudici di Strasburgo hanno riconosciuto che la tutela della famiglia tradizionale e il benessere del bambino sono fini legittimi. Ma poi hanno deliberato a maggioranza, 10 a favore e 7 contrari, che non può essere giustificata la sentenza dei magistrati austriaci, dalla quale si evidenziava disparità di trattamento tra coppie omosessuali e coppie eterosessuali. Concretamente la sentenza afferma il diritto delle coppie omosessuali ad accedere all’adozione dei figli avuti precedentemente dai loro partner. E’ necessario chiedersi però cosa pensi o desideri il genitore naturale del bambino, in questo caso il papà, che con l’adozione viene totalmente sollevato dal suo compito e dalle sue responsabilità. Ed è altrettanto necessario chiedersi cosa pensi e desideri il bambino che con una unica sentenza raddoppia il numero delle madri e perde il padre che lo ha generato. 



Non basta una sentenza per silenziare questi interrogativi naturali che nulla hanno a che vedere con la discriminazione, ma pongono invece al centro della riflessione il reale benessere del bambino. Non a caso tra i politici italiani impegnati nella campagna elettorale solo Ingroia si è detto nettamente a favore della sentenza, parte di quella rivoluzione civile di cui lui si fa protagonista. Il Pd è apparso diviso e Fioroni, leader dell’area cattolica del partito, si è detto decisamente contrario, perché ritiene che padre e madre siano insostituibili e l’ex ministro della pubblica istruzione ha approfittato per ribadire il suo no ai matrimoni omosessuali. Più prevedibile e compatta la reazione dell’Udc e del PdL, da sempre contrari sia al matrimonio omosessuale che all’adozione da parte delle coppie omosessuali. E’ una sentenza che comunque peserà fin dalle prime settimane della prossima legislatura, anche alla luce delle affermazioni rese solo pochi giorni fa da Bersani, che si è impegnato a dare attuazione a richieste che vanno in tal senso nei primi 100 giorni…



Eppure la sentenza non dovrebbe riguardarci direttamente perché l’Italia ha una normativa sulle adozioni molto chiara, tra le più avanzate in Europa, e decisamente volta a tutelare i diritti del bambino assai di più di quanto non faccia con i desideri dei genitori. Bene lo sanno le migliaia di coppie sposate che da anni sono in attesa di ricevere un bambino in adozione e che per questo sono state sottoposte ad indagini molto accurate. Nessuna intenzione di discriminarle, ma la ferma determinazione di offrire al bambino le migliori condizioni possibili di accoglienza e di educazione. Si possono rispettare pienamente le coppie di conviventi omosessuali senza per questo negare che per un bambino avere un padre e una madre è cosa diversa dall’avere due madri o due padri. A tal punto che nei paesi in cui per le coppie omosessuali è possibile adottare un bambino, il lessico impone le sue trasformazioni e non si parla più di madre o di padre, ma di genitore A e di genitore B.

I giudici di Strasburgo hanno riconosciuto come fine legittimo la tutela della famiglia definita “tradizionale”, ma poi ne hanno stravolto il fondamento specifico, togliendo valore a quella differenza che ne sostanzia la natura. Come se all’improvviso quel sapere consolidato da secoli di esperienza possa essere accantonato senza conseguenze di nessun tipo, soprattutto per il bambino. In questi ultimi anni abbiamo assistito ad una sorta di impegno crescente a livello socio-culturale, che sostiene l’irrilevanza del contesto famigliare, omosessuale o eterosessuale, per lo sviluppo del bambino. L’attenzione sembra concentrarsi sulla capacità di volersi bene e di voler bene al bambino, che c’è nella coppia, come se la dimensione affettiva potesse risolvere ogni altra esigenza e ogni altro problema. Si cerca di dimostrare la decisa superiorità di un nucleo in cui il clima affettivo è sereno e inclusivo, paragonandolo con certe situazioni familiari in cui la nota dominante sia quella della aggressività o della indifferenza. Ma mentre è facile denunciare la capziosità di un confronto in cui da un lato ci si vuol bene e dall’altro no, non si affrontano altre diversità che comunque dovrebbero almeno far emergere una potenziale problematicità e dovrebbero far sorgere quesiti importanti da affrontare prima ancora di poter parlare di adozione. Questa naturale complessità della situazione è invece rimossa a favore di un unico principio: quello della non discriminazione delle coppie omosessuali, trascurando l’altra evidente discriminazione che è quella del bambino.

La sentenza di Strasburgo non agisce automaticamente sul sistema legislativo degli Stati membri, ma certamente costituisce un precedente, sia a livello giuridico che culturale e con questo precedente dovremo confrontarci e misurarci tutti fin dagli inizi, ormai imminenti, della prossima legislatura. Come ha detto Alberto Gambino, giurista da tempo impegnato a tutto campo nella tutela dei diritti umani, “La sentenza della Grande Chambre di Strasburgo ha il pregio di smascherare una grande ipocrisia di questo dibattito elettorale. Da oggi non si potrà più parlare di riconoscimento delle coppie di fatto senza includervi necessariamente la possibilità di adozione”. Qualunque processo di riconoscimento dei diritti delle coppie di fatto, quando si estende dalla sfera dei diritti individuali ai diritti di coppia, non si limita a rimuovere quelle ingiuste discriminazioni personali a cui tutti, ma proprio tutti siamo contrari, innesca un processo in cui l’adozione diventa un fatto quasi necessario. Eppure se è possibile parlare di consenso generale per il riconoscimento dei diritti individuali delle coppie di fatto, non c’è affatto un analogo consenso per quanto riguarda le adozioni. Perché anche in questo caso si vuole tutelare il diritto personale del bambino: il diritto ad avere una famiglia, sperando che nella stragrande maggioranza dei casi coincida con quella che lo ha generato, o che comunque ci assomigli il più possibile.