Per alcune persone sembra esserci un destino particolare: quello di diventare icone, modelli, miti, esempi da seguire. Per ragioni che forse vanno al di là delle loro intenzioni, ma che hanno fortemente perseguito e su cui hanno puntato tutto. 

Gente che ce l’ha fatta, magari partendo da situazioni disagiate e sfavorevoli. Persone la cui determinazione, volontà, forza noi ammiriamo perché i traguardi da loro raggiunti trasmettono fiducia nella natura umana. In fondo noi (la cosiddetta gente comune) abbiamo bisogno di eroi della vita reale, in cui i nostri sogni si realizzano. Abbiamo bisogno di vedere sui giornali ed alla televisione anche del bene, non solo cronaca nera e giudiziaria.



Per questi superuomini esiste un culto planetario, una religione con milioni di fedeli assolutamente devoti.

Però la vita è strana, a volte anche carogna, sembra che si diverta a smentire certezze inossidabili. Siamo testimoni in questi giorni di una impressionante caduta degli dei. 

Casualmente questi eroi sono tutti sportivi (ma possono essere cantanti, attori, politici, etc.) che hanno cercato la loro realizzazione nel successo. Ma per raggiungerlo sono diventati complici della loro debolezza. Hanno nascosto aspetti importanti ed impresentabili. Questa mancanza, che in fondo è un po’ una sorte comune ad ogni persona, non viene loro assolutamente perdonata. Il vero problema è che per i media, per il sentire comune un piccolo particolare della vita diventa assoluto, un luogo comune diventa vangelo incontestabile. 



Sia nel bene che nel male. Quindi davanti al crollo ed alla sconfitta definitiva i ruoli cambiano. Ed è lecito negare tutto, rimangiarsi le parole spese per anni. Dopo gli osanna ecco, puntuali i crucifige. Senza batter ciglio. Condannati senza appello.

Lance Armstrong, texano, definito il più grande ciclista che abbia mai pedalato lungo le strade di questa terra, campione del mondo, vincitore di ben sette (7!) Tour de France, l’uomo, il divo, il play boy, il padre, l’ammiraglio sui pedali, è soprattutto colui che ha sconfitto il cancro. Nel 1996 la diagnosi di tumore ai testicoli, metastatizzato al cervello, regredito e scomparso dopo la chirurgia e la chemioterapia. Malato poi di nuovo vincente. Oltre 300 milioni di fondi raccolti dalla sua fondazione contro il cancro. Il titolo della sua biografia è “Il ritorno del sopravissuto”, una specie di Highlander reale. Poi le accuse di doping, le prove e le negazioni continue, sino al crollo, all’ammissione. Ora è per tutti un dopato, prepotente, ingannatore e spacciatore.



Oscar Pistorius, 26 anni, è sulle pagine di questi giorni. Bambino sudafricano per il quale la vita inizia in salita: ad un anno di età subisce l’amputazione di entrambe le gambe sotto le ginocchia per una malformazione congenita. 

Quindi il suo tenacissimo riscatto sportivo sino all’atletica ad alto livello: le sue controverse protesi di metallo elastico hanno permesso a “Blade runner” performances incredibili sino a qualificarsi per la semifinale alle olimpiadi di Londra 2012 tra i cosiddetti normodotati. Oltre alle varie medaglie d’oro vinte a mani basse alle paraolimpiadi. Ricco, sex-simbol, modello di chi ha superato tutti gli handicap della vita. Ora è finito tutto, non potrà più correre nella cella dove rischia di rimanere a vita per aver ucciso la sua fidanzata, “una donna indifesa ed innocente”. Ora si rivela che era un violento, con la passione per le armi, l’alcool e le auto superveloci.

E che dire di Tiger Woods, grande golfista, uno degli sportivi più pagati, per giunta nero, dominatore assoluto del green. Dopo che si è rivelato adultero seriale, andato a letto con madri e figlie, tutto quello che di buono aveva combinato col golf è scomparso; è rimasto un uomo inaffidabile con seri problemi di dipendenza dal sesso. Non è un assassino ma quasi.

Per finire non possiamo dimenticare Alex Schwazer, altoatesino, il prototipo del bravo ragazzo acqua e sapone, conteso dagli spot pubblicitari per la sua faccia pulita, il marciatore che ha trionfato nella gara più dura alle olimpiadi di Pechino: 50 chilometri senza mai correre, ma ancheggiando migliaia di volte sino a distaccare ogni altro avversario. Le sue lacrime in diretta davanti ai microfoni dopo l’ammissione del doping sono nella memoria di tutti, a suo perenne disonore. 

Ed altri esempi non mancherebbero.

Inutile negarlo, l’errore c’è stato: questo tradimento del patto tra noi ed i nostri eroi pesa. Ma ricordarsi che l’uomo, cioè io, è inferno e paradiso, bene purissimo e male orribile ci permette di essere almeno realisti e magari di perdonare. Sappiamo bene chi siamo, per questo non possiamo accettare che un uomo ci venga proposto come eroe o addirittura idolo per motivi del tutto secondari rispetto alla nostra vita vera, ma nemmeno come mostro. Dobbiamo decidere cosa ci interessa, essere meno superficiali nei giudizi, capire quali sono i valori fondanti della nostra vita. Gli idoli sono creati dalle mani dell’uomo, dall’uomo viene data loro la vita e la morte, sono della sua stessa natura.

L’ uomo ha sempre una risorsa infinita: il desiderio di bene del suo cuore ed il rapporto con Chi lo compie anche dopo le cadute più rovinose.