La notizia è piombata di prima mattina nella sala stampa vaticana affollata da cappotti umidi, caffè bollenti e computer in fibrillazione. Il primate della Chiesa cattolica britannica, il cardinale scozzese Keith O’Brien, annuncia che non partecipa al conclave. Compirà 75 anni nel mese di marzo, è arcivescovo di St. Andrews ed Edinburgh, è uno dei più alti prelati del Regno Unito, un paladino delle battaglie ecclesiali contro aborto, eutanasia e nozze gay. Ha vinto persino il premio “bigotto dell’anno” assegnato dalla charity inglese Stonewall, l’associazione che lotta per l’uguaglianza di lesbiche, gay e bisessuali.



Domenica l’Observer lo ha accusato di aver molestato sessualmente tre sacerdoti e un ex seminarista quando era direttore spirituale del St. Andrew’s College, a Drygrange, Scozia. Mi si è palesata, ripescata tra chissà quali ritagli di memoria, una cena nella Edimburgo festivaliera, quando la mia italianità e suppongo anche un pizzico di giovinezza mi avevano portato ad occupare un posto al tavolo dei vescovi scozzesi, in un evento organizzato dall’Istituto di cultura italiana. Avevo tenuto una conferenza sul teatro di Karol Wojtyla, ero avvezza alle cose vaticane e questo già mi poneva, per i miei cordialissimi e gentilissimi ospiti, all’altezza di una conversazione con le talari bordate di viola.



Di O’Brien ricordo il viso rubicondo, la risata pronta, la giovialità conviviale e la facilità con cui mi riempiva il bicchiere di vino (italiano per fortuna). Ma anche il mio inglese masticato con la stessa difficoltà con cui provavo ad apprezzare i piatti scozzesi, sottolineato dall’ilarità di un vecchio e stimatissimo attore teatrale ad ogni mio accento sbagliato, e una surreale chiacchierata sull’opportunità di consentire ai preti di sposarsi. A sostenere la tesi, al contrario di quanto si possa ragionevolmente immaginare, era l’arcivescovo che di lì a poco, nell’ottobre del 2003, avrebbe ricevuto la berretta rossa dalle mani di Giovanni Paolo II, e questo nonostante le audaci prese di posizioni in favore dell’abrogazione del celibato.



Devo dire che nel turbinio di rivelazioni, scandaletti e orchestrate scabrosità che accompagnano, sulle pagine dei giornali, la fine splendida e inaspettata di questo pontificato, la vicenda di O’Brien ha una sua drammatica consistenza. Le accuse sono circostanziate, un dossier da mesi è sul tavolo del nunzio apostolico in Gran Bretagna, Antonio Mennini, per episodi che risalgono almeno a 30 anni fa, in cui “comportamenti inappropriati” avrebbero macchiato la reputazione del cardinale. A questo si aggiunge la tempestiva accettazione, da parte del Papa, della richiesta di dimissioni per limiti di età. Accettazione resa pubblica oggi dalla Santa Sede con la data del 18 febbraio. Un mese prima, giorno più giorno meno, del suo compleanno. 

E poi le parole, riportate subito dalla affidabile Bbc, con cui O’Brien ha comunicato al mondo, prima che al collegio cardinalizio, la decisione di non partire per Roma: “Chiedo la benedizione di Dio sui miei confratelli” ma “io non mi aggiungerò a loro di persona per questo Conclave. Non voglio che l’attenzione dei media a Roma sia concentrata su di me”. Nella dichiarazione anche la frase carica di ambiguità “Mi scuso con coloro che ho offeso”, che non fa chiarezza sulla vicenda e intorbida il momento. 

Così il tagliente vento scozzese ha scaraventato giù dal podio l’altra notizia del giorno, la pubblicazione dell’attessissimo Motu Proprio con cui il Pontefice, a quattro giorni dalla fine del suo pontificato, ha modificato alcune norme della Universi Dominici Gregis, la costituzione apostolica firmata da Giovanni Paolo II con cui si determinavano le regole del conclave. Come prevedibile il Papa ha lasciato al collegio cardinalizio la responsabilità di anticipare la data di inizio del Conclave, pur non alterando il tempo ragionevole di attesa stabilito dalla precedente normativa. In pratica ha “ordinato” che si attendano i 15 giorni canonici dall’inizio della sede vacante, ma ha “concesso” la facoltà ai cardinali di anticipare il Conclave se tutti gli elettori sono presenti prima della scadenza stabilita.

Il solito buon senso bavarese, tutto rigore e tradizione. Ma anche un classico esempio della nobiltà con cui Benedetto XVI governa e ha governato, rispettando la libertà e la coscienza altrui, senza mai venir meno al suo compito di guida. Quindi, molto probabilmente, al termine della prima congregazione generale, sapremo anche la data in cui i porporati si chiuderanno nella Sistina. Una decisione che prenderanno a maggioranza assoluta tutte le berrette rosse, votanti e non.

Nel Normas Nonnullas (questo il titolo del Motu Proprio) altre novità: viene stabilito che per una “elezione valida” si richiedono “almeno due terzi dei suffragi, computati sulla base degli elettori votanti” e che nel caso si passi all’elezione per ballottaggio su due candidati, dopo 30 scrutinii a vuoto, i due prescelti non potranno votarsi. Una scelta elegante e persino rispettosa dello Spirito Santo. Più dure le pene per chi viola il segreto sul conclave. Scomunica latae sententiae (vale a dire automaticamente fuori dalla comunione della Chiesa), per religiosi, cerimonieri e tecnici che hanno lo straordinario privilegio di assistere alla elezione del successore di Pietro. Graziati i cardinali elettori: il Papa non se l’è sentita di offendere la dignità cardinalizia mettendo in conto possibili rivelazioni porporate. Eppure di chiacchieroni ce ne sono tanti. Ma si sa, Benedetto XVI vuol bene ai suoi collaboratori e ancora di più alla Chiesa.

Leggi anche

PAPA/ Se negli Usa la "Sede vacante" diventa pretesto per cambiare tutto...PAPA/ Benedetto e la fedeltà alla Croce, come ci interrogano?