Il 27 febbraio, si festeggia San Gabriele dell’Addolorata. Nato ad Assisi nel 1838 con il nome di Francesco Possenti, rimane orfano di madre molto piccolo, all’età di quattro anni, e per tutta la sua infanzia segue il padre, Sante Possenti, nei suoi continui spostamenti in giro per l’Italia, in particolare modo in Umbria: Sante è il governatore dello Stato Pontificio e non è escluso che anche tale professione abbia contribuito a indirizzare la vocazione del giovane Francesco, che infatti, all’età di solo diciotto anni, a Macerata, entra nel noviziato dei Passionisti, appunto col nome di Gabriele dell’Addolorata.



La vita di Gabriele appare contrassegnata sin da subito da un’aura di spiritualità: viene infatti battezzato allo stesso fonte battesimale di San Francesco (di cui prende il nome). Dal 1841, il lavoro paterno lo porta a stabilirsi in pianta stabile a Spoleto, città nella quale Francesco riceve un’educazione primaria presso l’Istituto dei Fratelli delle Scuole Cristiane, che si perfeziona con gli studi superiori svolti presso il Collegio dei Gesuiti. La sua formazione denuncia una famiglia agiata, le testimonianze che si hanno di lui restituiscono il profilo di un ragazzo allegro, esuberante, molto ricercato nell’abbigliamento, bello nell’aspetto, molto signorile. Estroverso al punto da dedicarsi alla recitazione e al canto, ama frequentare il teatro, nutrirsi di letture romanzesche, circondarsi di una compagnia buona e allegra. Particolarmente appassionato di musica, ha dalla sua tutti gli strumenti, fisici, caratteriali, economici, per immaginarne una vita di agi, di divertimenti, di sregolatezze, come qualsiasi altro giovane della sua età e della sua posizione sociale. Ma la ribellione alle regole appartiene selvaggiamente al bel Francesco che a soli diciotto anni, in piena controtendenza e sorprendendo quanti lo circondano, decide di entrare in convento operando così non solo un taglio netto col suo passato di divertimento e di benessere, ma rinunciando a tutte le sue amicizie, alle sue passioni, ai suoi amori, oltre che a tutti i suoi progetti di vita. Non che sia mai stato estraneo alla vita della Chiesa: le testimonianze lo descrivono come un abituale frequentatore della messa e delle funzioni religiose, ma la sua decisione, prende un po’ tutti in contropiede. 



Cos’è dunque che lo spinge a intraprendere una vita di meditazione e preghiera? Gli scritti ci raccontano che già piccolissimo, rimasto orfano di mamma Agnese, Francesco, che cerca spasmodicamente un riferimento materno, è indirizzato a immaginarla in cielo, accanto alla Madonna. Mentre recita il Rosario, sin da bambino, alza gli occhi verso il cielo, confortato dalla presenza di due mamme amorevoli che lo proteggono e lo sorvegliano. La devozione che Francesco ha nei confronti della Vergine Maria trova inoltre conferma nella grande statua, raffigurante una Pietà, che tiene nella sua stanza e alla quale lo stesso Francesco rivolge ripetute e amorevoli preghiere. È questa la ragione che lo spinge, a soli diciotto anni, a prendere i voti col nome di Gabriele dell’Addolorata, proprio in onore di quella madre così tenera, lontana e dolente che non ha praticamente mai conosciuto.



Ma non è solo la perdita della madre Agnese a costellare di dolore la vita del giovane Francesco: quando è ancora adolescente, la sua sorella maggiore, unico riferimento femminile rimastogli, muore dopo essersi ammalata di colera. Francesco rimane solo per la seconda volta. Il dolore per la perdita e per la conseguente solitudine spingono Francesco a ricercare altrove la pace e la serenità: cioè nella preghiera, nella ritirata vita monastica. A questa nuova vita Francesco viene letteralmente “chiamato”: durante una processione, svoltasi a Spoleto nell’agosto del 1856, inginocchiato tra la folla, in preghiera come tutti, viene raggiunto dalla Madonna che lo fissa con uno sguardo a suo dire, talmente intenso e dolce, e carico di amore, da fargli perdere interesse per ogni forma di vita terrena. È in quel momento che Francesco decide di diventare Gabriele dell’Addolorata, rinunciando, senza accusarne il colpo, a una vita di agi e divertimenti. 

Purtroppo il suo entusiasmo per la ritirata vita monastica, dura poco: la salute di Gabriele è cagionevole e dopo il ritiro a Isola del Gran Sasso, le sue condizioni vanno peggiorando. La tubercolosi lo consuma, portandolo nel giro di pochi anni, alla morte: Gabriele muore all’età di ventiquattro anni, il 27 febbraio 1862. Pur non essendo riuscito, per la giovane età, a prendere i voti, viene canonizzato nel 1920, in occasione del terzo anniversario dell’apparizione della Madonna di Fatima, nominato compatrono dell’Azione Cattolica oltre che patrono dell’Abruzzo.