La prima cosa che ha notato dopo essere scivolato fuori dall’abbraccio della folla è stato il sole. Ed è stata la prima pinzata al cuore. Perché un uomo che nel volteggiare della storia, quando ha mezzo mondo che lo scruta e il restante ancora imbambolato per il suo addio, migliaia di anime pronte a non perdersi un suo respiro o un balbettio e altre disposte ad accettare l’ultima lezione, un uomo, dico, che si ferma e guarda il cielo, beh è un uomo che mostra una libertà senza confini.



Tutti aspettavano da ore, in cammino dall’alba, affastellati lungo le transenne, attrezzati per il gelo romano e i disagi dell’evento, oppure aggrappati ai trabattelli con telecamere, monitor e spot d’ogni genere. Tutti erano lì, per lui. E Benedetto XVI nella sua ultima udienza pubblica, dopo essersi perso nella distesa infinita di umano che arrivava a lambire il Tevere, ha alzato gli occhi e scoperto la bellezza del sole. E ha detto “Grazie”. Grazie al Creatore per il sole in inverno. Era dentro la storia, affacciato su un pontificato ormai alle spalle, ma nonostante tutto, e prima di tutto, era, profondamente e completamente, nel “presente di Dio”.



E lì mi sono resa conto che lo strappo c’era già stato. Il Papa era già nella condizione del monaco, nel tempo della preghiera che raccoglie ogni essere, ogni stato, ogni cosa, per portarla in Dio. Eppure prima del nascondimento doveva ancora parlare, spiegare, prendere per mano, per l’ultima volta, quella folla. E lo ha fatto nel modo più bello, portandola nello spazio della sua coscienza, nell’intimità del suo rapporto con il Signore, dentro quel dialogo iniziato da bambino, ma diventato serrato dal 19 aprile di otto anni fa. Prima la domanda sotto gli affreschi di Michelangelo, prima di pronunciare un “Sì” faticoso nella vecchiaia: “Perché mi chiedi questo?”. La risposta va cercata nelle stagioni difficilissime attraversate dalla Chiesa, in un pontificato iniziato con “la piccola barca del pensiero di molti cristiani” agitata dalle onde dei vari “ismi”, “gettata da un estremo all’altro” come ebbe a dire l’allora card. Ratzinger celebrando la missa pro eligendo Romano Pontifice. Ma anche nella sintesi offerta oggi dal Papa dimissionario, di un cammino che ha avuto momenti di gioia e di luce, ma anche passaggi oscuri.



Anche “l’umile operaio nella vigna del Signore” ha conosciuto la perigliosità del mare. Si è sentito come Pietro con gli apostoli nella barca sul lago di Galilea: “Il Signore ci ha donato tanti giorni di sole e di brezza leggera, giorni in cui la pesca è stata abbondante; vi sono stati anche momenti in cui le acque erano agitate ed il vento contrario, come in tutta la storia della Chiesa, e il Signore sembrava dormire”.

Ma quella che consegna oggi è una barca sicura, la cui affidabilità nasce dalla certezza che appartiene a qualcun Altro. “Ho sempre saputo che la barca della Chiesa non è mia, non è nostra, ma è sua. E il Signore non la lascia affondare”.

Dovremo leggere e rileggere. E poi ancora sillabare questa ultima catechesi di Benedetto XVI, perché inchioda ad ogni passaggio. Come quando ha invitato alla gioia cristiana, all’abbandono fiducioso e infantile in Dio, a recitare le parole semplici del Ti adoro, quella preghiera semplice e popolare. Un’altra stretta al cuore. Almeno per me, inondata dalla tenerezza con cui i miei nipotini la recitano mattina e sera. Ecco, in quel momento la voce di Benedetto ha preso il ritmo fanciullesco di generazioni di cristiani: «Ti adoro, mio Dio, e ti amo con tutto il cuore. Ti ringrazio di avermi creato, fatto cristiano…». Tradiva la contentezza e la fede. La letizia di un uomo che non è mai stato solo. Perché questo l’ha gridato. “Sì, il Papa non è mai solo”. Appartiene a tutti, potenti e umili del mondo, ma soprattutto appartiene a Cristo e alla sua Chiesa, viva più che mai.

Anche se da domani Benedetto XVI lascerà le chiavi ad un altro, si chiuderà il portone del palazzo apostolico alle spalle, per vivere i suoi ultimi anni inginocchio, apparterrà alla Chiesa per sempre. Già, il “per sempre”. Il “per sempre” – ha spiegato con serena consapevolezza – lo incolla alla Croce, da cui non è mai sceso e mai scenderà. Perché dovrebbe farlo ora che è più vicino al suo Signore Crocifisso? E’ la sua bellissima, inevitabile, giusta e responsabile scelta. A noi, oggi, non resta che ignorare il cuore stritolato e bere le lacrime, sperando di possedere, un giorno, la sua stessa fede.

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