“Quella del 6 febbraio è una data che non sarà facilmente dimenticata, per il carcere di San Vittore e per tutto il sistema penitenziario italiano”. Insieme a Giovanni Tamburino, responsabile del Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria (DAP), commentiamo le recenti dichiarazioni rilasciate dal presidente della Repubblica Giorgio Napolitano durante la sua visita presso il carcere di San Vittore a Milano, la prima di un Capo dello Stato in una struttura penitenziaria italiana. Sono giudizi duri e taglienti quelli espressi da Napolitano, il quale non nega la grave “situazione d’emergenza” e la fondatezza della “mortificante” sentenza della Corte europea che ha condannato l’Italia per il degrado delle carceri. “Le dichiarazioni di mercoledì – continua Tamburino – sono perfettamente in linea con quelle che il presidente della Repubblica ha già reso più volte durante il settennato, legate in particolare all’importanza che ha un carcere civile e a “misura d’uomo” per la dignità di un Paese. Lo stesso Napolitano ha infatti posto l’accento più volte proprio su questo termine, “dignità”, una parola forte e importante attraverso cui ha poi voluto ricordare la condanna dell’Italia da parte della Corte europea a causa della violazione dell’articolo 3 della Convenzione”.



Come giudica l’attuale sistema penitenziario italiano?

Ci troviamo di fronte a una situazione triste e drammatica, in cui un Paese di altissime tradizioni e civiltà come l’Italia, che nei secoli è stato anche all’avanguardia nella risoluzione della questione criminale, oggi si trova addirittura condannato per violazione di una norma tra quelle più fondamentali e più gravi della Convenzione europea.



Cosa comporta la violazione dell’articolo 3?

L’articolo in questione, oltre a essere ritenuto violato dalla Corte europea per il trattamento inumano o degradante dei detenuti, è anche lo stesso che prevede la tortura. Questo dovrebbe dunque far capire la gravità della situazione in cui oggi si trova il sistema carcerario italiano.

Il presidente Napolitano ha citato anche l’articolo 27 sulla funzione rieducativa della pena e sul senso di umanità.

Anche l’articolo 27 è in linea con l’articolo 3 che citavamo in precedenza. Anzi, la Costituzione italiana, entrata in vigore il primo gennaio del 1948, precede addirittura la Convenzione europea che invece è del 1950.



Quindi?

Quindi l’Italia ha di fatto preceduto la Convenzione europea, aprendo una strada che successivamente è stata accolta e seguita da tutto il resto d’Europa. Verso la fine degli anni Quaranta il nostro era un Paese ancora all’avanguardia sotto questo profilo, quanto meno sul piano delle indicazioni di carattere normativo, capace di scrivere un articolo che non solo vieta tutti quei trattamenti che vanno contro il senso di umanità, ma che impegna anche lo Stato in tutte le sue articolazioni a operare per la rieducazione del condannato, andando quindi persino oltre gli stretti limiti della Convenzione europea. Vorrei poi sottolineare che la rieducazione si attua soprattutto attraverso il lavoro, aspetto a mio giudizio fondamentale che non deve essere mai dimenticato.

Il Capo dello Stato si è detto favorevole anche all’amnistia. Cosa ne pensa?

Quello riguardante l’amnistia è un dibattito strettamente politico che non attiene alla mia competenza, quindi preferirei non esprimere un particolare giudizio in merito. Posso solo dire che anche il Capo dello Stato, quando afferma che avrebbe firmato “non una ma dieci volte”, intende dire che se a riguardo ci fosse stata una proposta del Parlamento, certamente non si sarebbe opposto. Nonostante questo, il presidente della Repubblica ha comunque più volte ricordato che l’iniziativa non può che essere parlamentare, quindi deve necessariamente esserci un’ampia condivisione che rappresenti almeno i due terzi del Parlamento.

Quali sono a suo giudizio le attuali maggiori criticità delle carceri italiane?

Quella del sovraffollamento è certamente una delle maggiori difficoltà e rappresenta un ostacolo talmente grande che complica notevolmente gran parte delle iniziative positive che possono essere pensate. Un’altra criticità da sottolineare è senza dubbio quella del lavoro che, a differenza di altri Paesi, in Italia è assicurato a circa il 20% dei detenuti, con la conseguenza che l’80% di coloro che si trovano in carcere è in una condizione di apatia e disoccupazione, spesso involontaria. Vi sono poi gli aspetti dell’igiene e della salute che, pur essendo basilari, spesso non sono adeguati come dovrebbero.

Cosa fare quindi?

Sono dell’idea che nel sistema penitenziario italiano bisognerebbe introdurre quella che ho già avuto modo di definire “valvola di sicurezza”, da utilizzare nel momento in cui il sistema supera determinate soglie di difficoltà e crisi.

Cosa intende?

In altri sistemi, sia pure in casi estremi, si è fatto ricorso al differimento dell’esecuzione delle sentenze, una sorta di “lista di attesa”. Credo però che si tratti di un sistema molto più complicato che può dar luogo a delle forti disparità di trattamento, mentre vedrei bene un sistema penitenziario che, come dicevo, in qualche modo aprisse questa valvola di sicurezza e quindi aumentasse, ad esempio, la liberazione anticipata, seppur se per periodi determinati, in modo da abbreviare la durata della pena, ovviamente per chi lo merita.

Possiamo immaginare altre soluzioni?

Senza dubbio vi sono le misure alternative al carcere, di cui abbiamo visto qualche tempo fa una proposta governativa del ministro Severino poi approvata in larga maggioranza alla Camera ma non votata al Senato. Anche le misure alternative servono e possono rappresentare uno strumento efficace, in una logica che però non deve fermarsi alla mera deflazione carceraria ma che deve appunto immaginare sanzioni differenti dal carcere. Vorrei però sottolineare ancora una volta l’importanza del lavoro per i detenuti, che deve essere serio, effettivo, sociale e soprattutto produttivo, non solo di carattere assistenzialistico.

 

(Claudio Perlini)