Il 9 febbraio la Chiesa cattolica commemora diversi santi e beati e beate. Tra questi ci soffermeremo su Sant’Apollonia, San Rinaldo di Nocera Umbra e San Sabino di Avellino. La vicenda della vergine Apollonia è stata tramandata – nell’opera intitolata “Historia Ecclesiastica” – da Eusebio di Cesarea, la cui fonte è una lettera di San Dionigi di Alessandria, testimone diretto di alcuni avvenimenti durante la sommossa anti-cristiana scoppiata, per opera della popolazione pagana, ad Alessandria d’Egitto nel 248 d.C. Uno degli episodi della sommossa – che causò la tortura e il massacro di molti cristiani – riguardò l’anziana e vergine Apollonia. La donna era nota per la sua salda fede cristiana e per una costante attività di apostolato; per tali ragioni, i pagani si recarono da lei carichi di odio, strappandole con una tenaglia tutti i denti. Poi condussero l’anziana vergine fuori Alessandria e accesero un rogo in cui minacciarono di buttarla se lei non avesse proferito frasi empie verso Dio. Apollonia preferì buttarsi spontaneamente nel fuoco piuttosto che rinnegare la sua fede, determinando, immediatamente e nel corso dei secoli, la grande devozione e ammirazione del mondo cristiano nei confronti della sua figura. Patrona e protettrice dei denti, dei dentisti e degli uomini afflitti da malattie dentali, Sant’Apollonia è da secoli oggetto di una grande devozione popolare. In epoca medievale si moltiplicarono le reliquie della santa: denti venerati dal popolo e conservati gelosamente dagli ordini religiosi. Nel XVIII secolo tutte le presunte reliquie vennero raccolte e buttate nel Tevere dal papa Pio VI, preoccupato da simili forme devozionali. Nell’iconografia cristiana la santa è rappresentata solitamente con una tenaglia che stringe un dente.
San Rinaldo, vescovo e patrono di Nocera Umbra, rappresentò una figura di religioso dall’impeccabile moralità e dalla grande spiritualità in un’epoca caratterizzata da svariati ecclesiastici preoccupati più degli affari temporali che delle questioni dello spirito. Nato intorno alla metà del 1100 da una famiglia di signori feudali, scelse, compiuti i vent’anni, di rinunciare a ogni bene mondano, ritirandosi prima come eremita presso Gualdo Tadino e poi come monaco nell’eremo di Fonte Avellana. Rinaldo, per vicende estranee alla sua volontà, divenne vescovo di Nocera Umbra nel 1213, conservando, per tutta la durata del suo episcopato, lo stile di vita umile seguito da monaco, che lo avvicinava al suo caro amico san Francesco d’Assisi. Dopo la morte, avvenuta nel 1217, e un processo istruito sui suoi miracoli, venne proclamato santo. Il suo corpo fu ritrovato prodigiosamente intatto dopo la distruzione di Nocera Umbra da parte dell’esercito di Federico II e ciò elevò la sua figura a quella di patrono della città. I suoi resti sono conservati e venerati, inseguito ai danneggiamenti provocati alla cattedrale della città dal terremoto del 1997, nella chiesa di san Felicissimo.
Sabino fu vescovo, durante il VI sec., di Abellinum, antico centro romano situato nei pressi dell’odierna Atripalda, da cui derivò la città di Avellino. Il vescovo Sabino fu una figura degna di ammirazione già durante la vita; infatti, fu considerato un’insostituibile guida spirituale dal diacono e amministratore locale Romolo. Dopo la morte del vescovo, il suo corpo venne seppellito nello “Specus martyrum”, struttura che conteneva i resti di molti altri santi e martiri cristiani e che costituisce l’ipogeo della chiesa di S. Ipolisto ad Atripalda. Romolo raccolse, secondo la tradizione, in un’ampolla un misterioso liquido (manna) che scaturiva dal corpo di Sabino e che rivelò poteri prodigiosi, come la capacità di guarire gli infermi e di rendere fertile il terreno. Morto Romolo, venne seppellito a fianco del vescovo Sabino, che divenne patrono di Atripalda. Entrambi sono venerati, soprattutto ad Atripalda, come santi il 9 febbraio e il 16 febbraio, giorno che commemora il ritorno dei resti di san Sabino presso l’antico Specus martyrum.