L’infanzia come la conosciamo oggi esiste da quando scuola e famiglia sono divenuti i luoghi preposti al controllo del corpo e della mente dei fanciulli per garantire la loro segregazione fisica”. Lo leggiamo nel libro di Stefano Benzoni “L’infanzia non è un gioco” (Laterza): pochi riescono ad uscire dai luoghi comuni sull’infanzia come è invece riuscito a fare Benzoni e mostrare come l’infanzia oggi venga accettata solo se è “sotto controllo”, se perde quella dinamica libera e “povera di spirito”, quella libertà che ha portato Nostro Signore ad additarla ad esempio per entrare nel regno dei Cieli. Oggi – quando sembra che il regno dei Cieli non interessi più, ma non è vero – si accetta solo una vita omologata, e dunque un’infanzia omologata di figli “perfetti per forza”, di cui gli adulti sono più gendarmi e proprietari che pro-creatori (cioè coloro che collaborano alla Creazione, dunque anche alla creatività dei loro figli, perché la Creazione si sviluppa anche attraverso la libertà e la passione sfrenata dei bambini).



Serve allora capire dove sia davvero il mostro, il mostro vero che insidia i bambini e che poco alla volta li distrugge dall’interno. Perché il mostro reale non è quello della pedofilia (o del “traffico” potremmo dire parafrasando Roberto Benigni) sventagliato dai massmedia per spaventare, fare audience e deviare l’attenzione dalla questione. Il vero mostro è la pedofobia, cioè quel processo per cui nella nostra società essere bambini semplicemente non è permesso. Non è permesso sporcarsi, creare giochi, correre a perdifiato per le strade, sporcarsi e tocchicciare tutto in casa, mettersi le mani sporche in bocca, smontare i giocattoli appena comprati, fare a spinte, urlare (ah, sì dimenticavo: sporcarsi!).



Come ben scrive Benzoni, nei giochi infantili oggidì “non c’è esercizio creativo possibile né la più sfumata chance di trasgressione alla regola del godimento per legge”; e ancora: “Ci adoperiamo con dedizione encomiabile al mito dell’adulto che fa giocare i figli tutti tesi alla felicità di un bambino ideale, che però proprio a causa del nostro comportamento, finisce per assomigliare sempre di più all’oggetto dei nostri desideri anziché ad un individuo in grado di corrispondere ai propri”. E’ la pedofobia pura. E noi ne siamo inconsapevolmente e nostro malgrado vati, guardiani e giurati.



La pedofobia è l’idea che valga solo una classe di individui, cioè chi è in grado di decidere autonomamente per sé, di consumare quello che viene proposto dalla pubblicità e di essere tanto “fighi”. I bambini non sono autonomi nemmeno per sogno, non hanno quattrini da spendere per consumare, e nemmeno sono “fighi”. Dunque sono una sotto-serie-B, che non ha diritto di cittadinanza. a meno che… non li trasformiamo noi in quello che noi crediamo sia la “serie A”. Il fatto che poi ai bambini non interessi minimamente essere autonomi-consumatori-fighi, è secondario: valgono più i criteri del consumo che ormai ci hanno inzuppato finanche il midollo osseo e i neuroni del cervello.

Si scatena allora il dramma della generazione degli “enfant-roi” cioè dei bambini divinizzati ed esaltati in famiglia, pieni di giocattoli ma senza la presenza vera dei genitori, cui tutto e permesso e che poi si trasformeranno in adulti tiranni (vedi il bel libro di Didier Pleux De l’adulte roi à l’adulte tyran, Editions Odile Jacob), o in adulti depressi perché scopriranno tutto insieme che non sono loro i centro dell’universo. E si scatena il dramma della generazione che vive la sindrome del sopravissuto, in un mondo in cui i bambini sono sempre più soli (vedi l’altro bel libro dello psichiatra francese Benoit Bayle L’embryion sur le divan).

E’ inutile: questa generazione di adulti ha così paura della vita che non accetta l’idea che ci sia qualcuno – i bambini ma non solo – che per vivere ha bisogno degli altri, qualcuno per definizione imperfetto, perturbatore, rompiscatole, come è ogni bambino, e lo accetta solo se si maschera da piccolo adulto, piccolo consumatore, piccolo tiranno: oggigiorno in un’inversione di ruoli noi “chiediamo ai bambini di occuparsi di noi. Che siano adulti subito” scrive l’autore; “rendiamo le loro fantasie prevedibili per stabilirne con esattezza il confine. Sorvegliamo i loro desideri per prevenire ogni trasgressione sul nascere”. Come uscire da questa ondata di attentati ai diritti dell’infanzia, dalle mani di questo orco onnivoro, in cui i bambini sono “erotizzati ed ambigui, sazi ed egoisti”, proprio come vorremmo essere noi cresciuti a forza di usa e getta, di tv spazzatura, di sesso spiattellato in tv 24 ore su 24? Come uscire da questo vortice se il figlio ormai è diventato un “prodotto” (del concepimento), una “scelta” (responsabile), un “regalo” (che ci si fa dopo che si è fatto tutto il resto)?

Già, perché il punto è qui: il figlio è diventato un oggetto tra gli altri; ma non sarebbe l’ora di uscire da certa retorica che se un tempo deresponsabilizzava la gravidanza con padri-padroni e mamme frustrate, ora ha trasformato i figli in prodotti-scelte-regali, cioè in piccoli giocattoli invece che in quei grandi magnifici rompiscatole terribili ma affettuosi, costosi ma irrinunciabili, carini ma esasperanti che in realtà sono? Siamo in una società a parole liberale, ma che in realtà non permette a nessuno di uscire dalle regole, e forse per questo non si fanno più bambini, e non solo perché costano: perché sono per definizione senza regole, mentre noi al di fuori di quello che già abbiamo deciso non concepiamo (è proprio il caso di dire) nulla. 

Perché non smetterla con gli orchi da prima pagina (per quelli c’è la polizia) e mostrare l’orco vero della società del rifiuto, della società che rifiuta tutto quello che non è previsto, fino a rifiutare se stessi quando non ci piacciamo più e ad influenzare e coinvolgere e contagiare i nostri figli in questo rifiuto cosmico? Scuola e famiglia sono ben altro che i guardiani di un sistema sociale conformista; noi siamo ben altro per i nostri figli, ma tutto spinge a farcene scordare. Vogliamo riportare scuola, famiglia e noi stessi a riscoprire cosa significa educare, procreare, non pretendere, e accettare la libertà dirompente dell’infanzia e l’arrivo gratuito della vita?