Il 10 marzo si ricorda San Macario, Vescovo di Gerusalemme dal 313 al 334. Di lui si sa molto poco: le origini della sua vita, così come la sua infanzia ci sono, ad esempio, del tutto sconosciute. Sappiamo però che viene chiamato a fare il Vescovo a Gerusalemme in un momento molto molto delicato, quando cioè il cristianesimo viene iniziato timidamente a praticare di nuovo dopo le severissime persecuzioni degli anni precedenti. Ricordiamo infatti che nel 70 inizio la cosiddetta diaspora ebraica e nel 135 la città di Gerusalemme viene rasa completamente al suolo. Sulle sue rovine, l’imperatore Adriano, la cui politica pure era improntata alla tolleranza e al rispetto, fa costruire una nuova città: Aelia Capitolina. La decisione è drastica e si motiva nella tenacia dei Giudei che rifiutavano qualsiasi forma di romanizzazione, tanto per motivi religiosi, quanto per ragioni nazionalistiche, escludendo in questo modo che alla loro professione monoteista potessero anche solo affiancarsi le divinità pagane adorate dai romani. Per ritornare a professare liberamente la loro fede, gli ebrei dovranno aspettare che l’imperatore Costantino promulghi il noto “Editto di tolleranza”, che stabilisce, come è noto, la libertà di culto in tutte le province romane, poi estesa addirittura a tutto l’impero.



Siamo nel 313, nello stesso anno cioè in cui iniziamo ad avere notizia di Macario. Viene inviato a Gerusalemme col compito, tra gli altri, di occuparsi della ricostruzione della città e dunque di restituirla agli ebrei e alla loro professione di fede. Il primo atto del suo governo è proprio l’abbattimento del Campidoglio per far tornare alla luce il monte Golgota, con l’area del Calvario e del Santo Sepolcro, cui segue la costruzione della Basilica cristiana del Santo Sepolcro a Gerusalemme. Le testimonianze raccontano la sua presenza anche al Concilio di Nicea, e lo individuano come uno dei principali fautori.



Il Concilio di Nicea, svoltosi nel 325, rappresenta il primo tentativo ufficiale di ristabilire la pace religiosa tra il popolo ebraico e i romani; fu voluto dall’imperatore Costantino e celava, nella sua convocazione, non solo un’intenzione di tolleranza e di apertura, ma anche una mossa strategica: l’impero si trova in un momento di forte declino, che avrebbe corso il rischio di essere accelerato se non si fosse trovato un accordo con la potente civiltà giudaica. I lavori del Concilio cominciano il 20 maggio di quell’anno e Macario, come si diceva, ne risulta addirittura protagonista: a lui viene infatti attribuita la paternità del “Credo” la preghiera redatta in quelle settimane e che ancora oggi tutti noi pronunciamo. Il mandato di Macario si caratterizza anche attraverso la costruzione di nuove chiese, la cui creazione inizia a generare, in Terrasanta, significativi flussi di pellegrinaggio, ma soprattutto in una lotta tenace contro l’arianesimo, testimoniata, tra l’altro in una lettera a Eusebio di Nicomedia. Ario è un teologo berbero che dopo aver predicato dottrine giudicate eretiche durante il Concilio di Nicea viene mandato in esilio, allontanato da Gerusalemme.
Dopo insistenti richieste di rimpatrio, Ario ottiene, proprio con intermediazione di Eusebio e grazie alla clemenza di Costantino, di poter ritornare in Terrasanta benché le sue opinioni continuassero a risultare eretiche.



Il rientro di Ario ha come conseguenza l’allontanamento di Atanasio un vescovo molto vicino a Macario che infatti, dal suo esilio, molto anni dopo scrive di lui come esempio di totale ortodossia, virtuoso e imperituro. Nel martirologio romano, che celebra la venerazione del suo culto il giorno dieci marzo, così si legge: “Commemorazione di san Macario, vescovo di Gerusalemme, per esortazione del quale i luoghi santi furono riportati alla luce da Costantino il Grande e da sua madre sant’Elena e nobilitati con la costruzione di sacre basiliche”.