I soldi sono sempre meno, ma i dati appena pubblicati da Agicos (un incremento annuo del 450%) dicono che quello che invece cresce è l’attrazione per il gioco d’azzardo: online, in TV, in tabaccheria.
E il paradosso è che lo Stato legalizza una cosa potenzialmente pericolosa; certo, dà avvisi a non eccedere, ma servono davvero? Basta leggere una recente review della rivista medica Lancet per vedere che la dipendenza da gioco d’azzardo arriva a toccare il 5% della popolazione; anche l’American Academy of Pediatrics ha messo nero su bianco delle linee-guida per prevenire il gioco online dei minori, così diffuso che nel 2010 l’assemblea del consiglio d’Europa ha emanato una direttiva molto chiara per la sua prevenzione. Sta allo Stato, alle nuove Camere che si insediano in questi giorni, di mettere dei paletti; ma soprattutto di capire che quello che lo stato favorisce diventa cultura… anche se poi dice che fa male.
È schizofrenia: gli Stati mettono in guardia e allo stesso tempo permettono e gestiscono il gioco con denaro; fino a pochi anni fa era un reato e oggi è considerato uno sport come la pallacanestro; prima era guardato come dilapidazione dei soldi, oggi rientra nel risanamento del debito pubblico. 80 miliardi di euro il giro d’affari, praticamente il 4% del Pil del nostro paese. E non manca l’inno al “vincere senza fatica”: che poi vuol dire che il lavoro è un ostacolo ad un supposto divertimento, e che chi osa mettere in guardia (medici in primis) è un bacchettone.
Ma attenti; il gioco con denaro era proibito non perché qualcuno voleva mettere freni alla libertà, ma perché era chiaro nel popolo l’insegnamento di San Paolo: “Chi non vuole lavorare non mangi” e soprattutto era chiaro che il lavoro era una condizione della vita dura divenuta nobile col cristianesimo, mentre era una con il paganesimo restava dura, da evitare e deridere… come avviene oggi.
Le associazioni mediche e il buon senso hanno vita difficile contro questo stravolgimento di valori condito di poderosa propaganda e testimonials: proliferano i canali televisivi dedicati esclusivamente al gioco d’azzardo, inseriti tra quelli dedicati allo sport, col quale il gioco d’azzardo poco a che fare, sia etimologicamente (lo sport è l’attività del “de-portare”, cioè da fare fuori dalle porte della città, all’aperto), sia culturalmente: lo sport richiede abilità, e non vediamo che abilità sia richiesta in roulette o baccarà.
Ma il gioco d’azzardo è ormai cultura: proliferano nelle televisioni i programmi basati sul colpo di fortuna, che non sono “gioco d’azzardo”, ma alla fine ci fanno entrare in testa come normale l’idea di scommettere magari grosse cifre o piccoli gettoni, ma comunque scommettere, in una vita che diventa “tutta un quiz”. Insomma: “piccoli scommettitori crescono!”.
Per gli psichiatri francesi Marc Valleur e Jean-Claude Matysiak si tratta di -“un modo di mostrare la potenza del proprio desiderio al di sopra delle leggi della natura”, di “convocare le grandi potenze genitoriali che sono il destino e il caso”. Comunque è la vittoria dell’irrazionalità in un campo – l’economia familiare – che invece reclama responsabilità.
La medicina vuole intervenire: basta andare nel sito della prestigiosa Mayo Clinic per trovare un aiuto alla patologia da gioco d’azzardo; ma come può farlo quando proprio in piena crisi si viene bersagliati da forti e ben studiati inviti a giocare? La frase “giocate con misura”, detta da chi mostra con scintillio e glamour la bellezza di affidare al caso i soldi, finisce col suonare ironica.
Gradiremmo che l’incombenza di rimpinguare l’erario fosse condita da maggiore cautela, perché le scorciatoie sono sempre pericolose; questa in particolare può creare disagi in chi è più debole, più influenzabile e forse anche più disperato: il gioco può sfociare in patologia e debiti; e la vita, quella che si “gioca” tra figli, conti da pagare, stipendi ridotti, non deve diventare un azzardo.