In questi giorni seguiamo sgomenti un misterioso tragitto da sud a nord punteggiato da roghi dolorosi; il primo a Napoli, senza vittime ma preparato con cattiveria e premeditazione, sei o otto inneschi doppi tutt’intorno al perimetro di un fiera-museo senza paludamenti accademici, che attirava ragazzi e scolaresche, che confidava nella propria innocua intenzione di contagiare per il futuro qualche suo visitatore, di attirarlo e coinvolgerlo nella sua prospettiva di scienza vicina: e proprio per la sua leggerezza e libertà attira la vendetta di chi ha paura, non vuole cambiamenti né novità e, piuttosto che cambiare, prepara la distruzione e la vendetta durante la notte.



Poi a Guastalla, un mercato rionale del sabato, già di sua natura un luogo lontano da ogni tragedia, la piazza del paese con gli incontri obbligati, le solite chiacchiere, vicini e conoscenti con le borse della spesa, le case basse e quegli alberi ciascuno nella propria aiuola rettangolare alternati alle bancarelle del mercato, il chiacchiericcio dei passanti che arriva alle finestre dei primi piani.



E a nord, molto più su, vicino a Stoccarda, il fuoco più spaventoso, quello notturno che non ti aspetti, il più atroce, che si mangia vivi senza pietà sei fratellini e la loro mamma; con le solite domande che restano in gola, che non vengono dette; lei sola ha avuto il coraggio di non allontanarsi dai figli? Gli altri che si salvano sono quelli che scappano seguendo l’istinto di tutti, cioè quello di arretrare davanti alle fiamme e pensare prima a se stessi? E poi: ancora turchi, questi bambini, non tedeschi, ai piani alti di una casa troppo affollata, senza vie di fuga, il quartiere povero, la libreria-biblioteca turca al piano terra, sai come bruciano veloci i libri e come sembrano fatti apposta per alimentare le fiamme.



Rossana ha fatto l’università, facoltà di legge, già laureata anzi, e già praticante presso uno studio legale; si guarda bene dal dire ai suoi genitori che i suoi compiti sono per ora riordinare l’archivio e fare le fotocopie, ha già messo in conto che per un po’ è questo che tocca agli ultimi arrivati, e forse è giusto così. Sa benissimo che i soldi per pagare i suoi studi sono venuti fuori proprio da quel carrozzone attrezzato, anche quello costato un sacco, portato da suo padre in giro per i mercati della zona; i suoi si alzano da una vita alle quattro del mattino, restano fino all’una sul camion, freddo o caldo, pioggia o neve, e lei neanche sotto tortura ammetterebbe che ogni tanto è delusa, che è impiegata sotto le sue possibilità, che sta perdendo quella carica ideale, quella voglia di darsi da fare che la infervorava durante l’università, alle lezioni e nelle discussioni con i suoi colleghi.

I suoi la lascerebbero volentieri a riposare al sabato, quasi non credono che lei si svegli così volentieri per seguirli; ma lei ci tiene, si sente contenta, si diverte a parlare con la gente, si imbacucca nel grembiule bianco e oggi, dopo la pioggia, sembra proprio che sarà una giornata di sole. Le sembra una vacanza stare con la mamma e la zia vicino ai girarrosti dei polli, tutt’e tre sorridono spesso e non solo per far bella presenza con i clienti ma perché rinnovano la loro abitudine a stare insieme; come da piccola, quando le sentiva chiacchierare sedute al tavolo della cucina, lei a mordicchiare la matita mentre faceva i compiti, la finestra aperta verso il giardino e l’odore del basilico e delle erbe nei vasi portata dall’aria fino dentro la stanza.

Che non c’è speranza lo capisce subito, al primo scoppio, e già nonostante le urla sue, della mamma e della zia riesce ad avvicinarsi a loro e a tenersi perlomeno vicine, che finisca in fretta perché il dolore e il calore già le stanno cancellando; al secondo scoppio le sembra di innalzarsi con la fiamma, di evaporare in carne e sangue. Rimane lo scheletro sgretolato del camper incollato sui pneumatici fusi; dello stesso nero orribile dei mattoni che a Stoccarda si aprono a far intravedere la scala lungo la quale i bambini avranno forse tentato di scendere, oppure avranno pianto, lì ad aspettare qualcuno che andasse a prenderli.