Lo Spirito Santo esiste. E ha anche un gran senso dell’umorismo. Sennò come faceva a far arrivare dalla “fine del mondo”, un Papa da “fine del mondo”? E non sto parlando delle improbabili profezie, delle ansie millenaristiche, delle verità spulciate dai annali e scartoffie cabalistiche, ma proprio di una cosa dell’altro mondo. Francesco. Il primo Papa Francesco. Bergoglio Giorgio Maria, come lo avrebbero chiamato i bisnonni piemontesi, da Buenos Aires, senza un polmone ma con un cuore grande, 77 anni da far suonare a dicembre, è il primo papa sud-americano, il primo pontefice gesuita, il primo Francesco nella storia bimillenaria della Chiesa Romana Cattolica Apostolica. Il Padre che molti non osavano neanche sperare.
Lui che la settimana scorsa sorrideva sotto il basco nero, arrivando a piedi, quasi inosservato, alla cancellata che separava l’orda famelica dei giornalisti dalle consultazioni pre-conclave. Uno che con borsetta nera spelacchiata e anello al dito, ha sempre preso l’autobus per andare a trovare le sue parrocchie in periferia, dove crisi economica e politiche miopi avevano stritolato l’esistenza e costretto ad una povertà immeritata.
Stringendo mani e asciugando lacrime, e dicendo che sì anche lui aveva notato che la bolletta della luce era aumentata e che non si arrivava alla fine del mese, e che nel suo appartamentino di due stanze pure lui teneva accese poco le lampadine. Tanto semplice da chiedere la solitudine nella festa, nel 2001, ai suoi amici innamorati di tango e pallone, ai fedeli conquistati dalla sua bontà, ad una chiesa orgogliosa di avere un altro cardinale da vantare: con i biglietti per accompagnarlo a prendere la berretta troppo bene si poteva fare, a troppo gente. Ecco chi lo Spirito ha suggerito e permesso di donare agli elettori della Sistina. Un uomo di fede. La pura e santa semplicità confonde ogni sapienza, diceva il Francesco di Assisi. E qualcosa del genere è accaduto mercoledì 13 marzo.
La speranza fracida di pioggia e di troppe parole, quella che gonfiava a ritmo di sbuffi e ventate di fumo la piazza tappezzata di ombrelli, ha trovato il suo compimento in un pontefice che nessuno aspettava. Troppo vecchio sussurravano i cortigiani di carta, troppo lontano dal papa muscoloso e determinato che deve prendere in mano una Curia in cui coltelli e veleni si nascondono tra le pieghe delle cotte, troppo umile per accettare, troppo argentino e poco italiano nel mix di sangue che si è trovato in dote, troppo spirituale per una Chiesa che ha bisogno di liberarsi con energia di orpelli e zavorre. Tutto era già stato deciso da chi si era eretto a interprete delle dinamiche conclaviste.
Lui era fuori, outsider di lusso per nostalgici: i giochi si facevano altrove, in accordi e patti tra correnti, con gruzzoli di voti e ticket, attraverso colloqui e abboccamenti, tra un caffè e una passeggiatina. La lista di biografie non comprendeva quella dell’argentino. Fatica sprecata. Roba da 2005, già storia in qualche volume frutto di confidenze cardinalizie nate dalla scommessa sulla Misericordia Divina per i pettegoli. L’antagonista di Benedetto XVI al passato conclave apparteneva ad un’altra generazione. Appunto, quella dei Ratzinger e Martini, uomini di statura immensa, principi della Chiesa andati per sempre. Chi in Paradiso, chi sul monte a pregare. E invece.
Invece il Paraclito ha fatto lo scherzetto. Non ha dettato il candidato, ma ha suggerito che un un buon papa è più importante di un buon governo. Dimostrando ancora una volta che ci si può lambiccare il cervello nel tentativo di programmare, tracciare, prevedere, organizzare le volontà cardinalizie, facendo la conta alle intenzioni e le pulci agli ecclesiastici, decidendo con arroganza spaccona cosa sarebbe meglio e cosa sarebbe peggio, quali sono i candidati idonei e quali no, come funzionano gli schemi elettivi e cosa sarebbe giusto per un Vangelo in crisi di consensi, ma tanto alla fine lì dentro, nella Sistina, accade qualcosa di grande e misterioso che spazza via tutto. Davanti al Giudizio di Michelangelo, nel silenzio sacrale, può compiersi il miracolo di un Francesco. “Lo Spirito non prende il controllo della situazione” spiegava un inedito Ratzinger nel 1997 “ma da buon educatore lascia fare alla libertà senza pienamente abbandonarci”.
Accade sempre qualcosa di sorprendente, e di totalmente vero, che costringe i cardinali a guardare all’uomo con più fede, a quello che può reggere il peso del timone e portare la barca in acque sicure. Senza tener conto delle pressioni e dei pregiudizi, in una continuità commovente segno della grandezza di chi precede e di chi segue.
Qualcosa che lascia a bocca aperta i giornalisti più smaliziati, assediati dalla spiacevole sensazione di essere caduti nel ridicolo con il tanto parlare e sparlare. Sensazione da scansare subito, magari con una subitanea interpretazione.
Ma l’unica valida rimane quella del “vescovo di Roma emerito”: “probabilmente l’unica sicurezza che lo Spirito offre è che la cosa non possa essere totalmente rovinata”. Stavolta il Paraclito è andato oltre.