“Dalle Colline del Piemonte alla Pampa, il viaggio dell’emigrato Bergoglio”. Il titolo della Stampa di questa mattina è stato come un sussulto, ancor più dopo aver letto che, per una circostanza imprevista, i Bergoglio non salirono sulla nave Principessa Mafalda che affondò nel 1927 al largo del Brasile. Solo nel 1929, il padre Mario Giuseppe Francesco partì, ma per l’Argentina. E là c’erano anche i miei nonni, Paolo e Angiolina, e nel novembre del 1927, giorno di santa Caterina, proprio nella Pampa, nacque mia mamma. Storie comuni di povertà e di riconoscenza, che insieme hanno levigato la fede. E lo dico pensando a mia nonna, che una volta tornata in Italia e avviata col nonno Paolo una macelleria, dovette affrontare la guerra.



Il nuovo Papa, Jorge Mario Bergoglio, è originario di Portacomaro stazione, un paese dove il vino simbolo è il Grignolino d’Asti, da accompagnare agli agnolotti. Il mio paese, anch’esso della diocesi d’Asti, si chiama Masio, e qui si celebra invece la Barbera. Ma in entrambi si balla il tango argentino, di cui il nuovo Papa è un appassionato, come lo è di Grignolino e della tenerezza del dialetto piemontese. Lui conosce a memoria, ad esempio, una poesia di Nino Costa, “Razza nostrana”, che descrive così i piemontesi: “Dritti e sinceri,… parlano poco ma sanno cosa dicono, camminano piano ma vanno lontano.”



Gli zii del neoeletto Papa, come anche i miei zii acquisiti, i Pittatore, furono pasticcieri, che è un arte maturata all’interno dei forni turnari dei paesi del Monferrato. Ne scrivo fino al dettaglio, di queste prime notizie sul nuovo Papa, perché sembra di vedere lo svolgersi di quello che un altro Pontefice, Giovanni Paolo II, chiamava il “sogno della giovinezza”, che poi diventa realizzazione, compimento, dentro il solco della memoria. I piemontesi che sono andati in Argentina, del resto, hanno mantenuto fortissimo il legame con la loro terra d’origine.

Lo ha dimostrato il cardinale Bergoglio dieci anni fa, quando venne in visita a Portacomaro e volle portarsi con sé, a Buenos Aires, un po’ di terra del suo paese. Ma se penso ai miei cugini, nati a Rosario, che per la prima volta tre anni fa vennero a fare un viaggio in Italia, ritrovo il medesimo attaccamento, fino all’esecuzione perfetta dei piatti tipici di casa nostra a cominciare dalla bagnacaoda. Poi un altro dettaglio: il film preferito del neo ontefice sarebbe, il “Pranzo di Babette”.



E subito mi sono arrivate decine di sms per lo stupore di questo dettaglio. Andrea Tornielli su Vatican Insider della Stampa scrive:“Vi si vede – ha spiegato Bergoglio – un caso tipico di esagerazione di limiti e proibizioni. I protagonisti sono persone che vivono in un calvinismo puritano esagerato, a tal punto che la redenzione di Cristo si vive come una negazione delle cose di questo mondo. Quando arriva la freschezza della libertà, lo spreco per una cena, tutti finiscono trasformati. In verità questa comunità non sapeva che cosa fosse la felicità. Viveva schiacciata dal dolore… aveva paura dell’amore”.

Lui, che da professore faceva leggere Jorge Luis Borges ai suoi studenti, dice che bisogna passare da una Chiesa “regolatrice della fede” a una Chiesa “che trasmette e facilita la fede”. In questo c’è insomma già qualche dettaglio del suo cammino che è iniziato ieri: dare tutta la vita per testimoniare la gioia della fede. Lo hanno fatto i suoi genitori; è la simbologia di Babette che dà tutti i suoi averi per vedere il gusto che irrompe intorno a una tavola e disegna la felicità sui volti delle persone; lo farà lui, da piemontese, coi piedi ben saldi a terra, sapendo che la vita è molto di più di quanto possiamo immaginare.

Tutta la sua storia è stata segnata dalla mano della Provvidenza. Tutta la storia della nostra povera gente, qui nel Monferrato, ha toccato con mano il gusto della rinascita. È il giorno della speranza, oggi.

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