Per due volte, monsignor Jorge Mario Bergoglio ha presentato in Argentina due libri scritti da monsignor Luigi Giussani, fondatore del movimento Comunione e Liberazione. La prima, nel 1999, è stata l’occasione per presentare agli argentini “El sentido religioso” (Il senso religioso), uno dei libri fondamentali del sacerdote italiano; la seconda, nel 2001, poco dopo la creazione a cardinale, ha segnato la sua prima volta come conferenziere alla popolare Fiera internazionale del libro di Buenos Aires “Il libro dall’autore al lettore”: qui la più grande sala non ha potuto accogliere tutte le persone che volevano comprendere da lui i punti essenziali di “El atractivo de Jesucristo”, la traduzione di “L’attrattiva Gesù”, terzo volume della collana “Quasi Tischreden” che raccoglie sui conversazioni a tavola con alcuni Memores Domini, laici consacrati che vivono l’esperienza di Comunione e Liberazione. Pubblichiamo di seguito alcuni stralci della presentazione dell’allora cardinale Jorge Mario Bergoglio, ora papa Francesco.



«Ho accettato di presentare questo libro di don Giussani per due ragioni. La prima, più personale, è il bene che negli ultimi dieci anni quest’uomo ha fatto a me, alla mia vita di sacerdote, attraverso la lettura dei suoi libri e dei suoi articoli. La seconda ragione è che sono convinto che il suo pensiero è profondamente umano e giunge fino al più intimo dell’anelito dell’uomo. Oserei dire che si tratta della fenomenologia più profonda e, allo stesso tempo, più comprensibile della nostalgia come fatto trascendentale. C’è una fenomenologia della nostalgia, il nóstos algos, il sentirsi richiamati alla casa, l’esperienza di sentirci attratti verso ciò che ci è più proprio, che è più consono al nostro essere. Nel contesto delle riflessioni di don Giussani incontriamo pennellate di una reale fenomenologia della nostalgia.
Il libro che oggi si presenta, L’attrattiva Gesù, non è un trattato di teologia, è un dialogo di amicizia; sono conversazioni a tavola di don Giussani con i suoi discepoli. Non è un libro per intellettuali, ma per chi è uomo o donna. È la descrizione di quella esperienza iniziale, a cui mi riferirò più avanti, dello stupore che viene a galla dialogando sull’esperienza quotidiana provocata, affascinata dalla presenza e dallo sguardo eccezionalmente umano e divino di Gesù. È il racconto di un rapporto personale, intenso, misterioso e concreto allo stesso tempo, di un affetto appassionato e intelligente verso la persona di Gesù, e questo permette a don Giussani di arrivare come alla soglia del Mistero, di dare del tu al Mistero.
Tutto nella nostra vita, oggi come al tempo di Gesù, incomincia con un incontro. Un incontro con quest’uomo, il falegname di Nazareth, un uomo come tutti e allo stesso tempo diverso. I primi, Giovanni, Andrea, Simone, si scoprirono guardati fin nel profondo, letti nel loro intimo, e in essi si è generata una sorpresa, uno stupore che, immediatamente, li faceva sentire legati a lui, che li faceva sentire diversi.
Quando Gesù chiede a Pietro: «Mi ami?», «quel “sì” non era l’esito di una forza di volontà, non era l’esito di una “decisione” del giovane uomo Simone: era l’emergere, il venire a galla di tutto un filo di tenerezza e di adesione che si spiegava per la stima che aveva di lui – perciò è un atto di ragione -», è stato un atto ragionevole, «per cui non poteva non dire “sì”».
Non si può capire questa dinamica dell’incontro che suscita lo stupore e l’adesione se su di essa non è fatto scattare – perdonatemi la parola – il grilletto della misericordia. Solo chi ha incontrato la misericordia, chi è stato accarezzato dalla tenerezza della misericordia, si trova bene con il Signore. Chiedo ai teologi presenti che non mi denuncino al Sant’Uffizio né all’Inquisizione, però forzando l’argomento oserei dire che il luogo privilegiato dell’incontro è la carezza della misericordia di Gesù Cristo verso il mio peccato.
Di fronte a questo abbraccio di misericordia – e continuo secondo le linee del pensiero di Giussani – viene proprio voglia di rispondere, di cambiare, di corrispondere, sorge una moralità nuova. Ci poniamo il problema etico, un’etica che nasce dall’incontro, da quest’incontro che abbiamo descritto fino ad ora. La morale cristiana non è lo sforzo titanico, volontaristico, lo sforzo di chi decide di essere coerente e ci riesce, una sfida solitaria di fronte al mondo. No. La morale cristiana è semplicemente risposta. È la risposta commossa davanti a una misericordia sorprendente, imprevedibile, “ingiusta” (riprenderò questo aggettivo). La misericordia sorprendente, imprevedibile, “ingiusta”, con criteri puramente umani, di uno che mi conosce, conosce i miei tradimenti e lo stesso mi vuole bene, mi stima, mi abbraccia, mi chiama di nuovo, spera in me e attende da me. Per questo la concezione cristiana della morale è una rivoluzione, non è non cadere mai ma alzarsi sempre.



Come vediamo, questa concezione cristianamente autentica della morale che Giussani presenta non ha niente a che vedere con i quietismi spiritualoidi di cui sono pieni gli scaffali dei supermercati religiosi oggigiorno. Inganni. E neppure con il pelagianismo così di moda nelle sue diverse e sofisticate manifestazioni. Il pelagianismo, al fondo, è rieditare la torre di Babele. I quietismi spiritualoidi sono sforzi di preghiera o di spiritualità immanente che non escono mai da se stessi.

Gesù lo si incontra, analogamente a 2000 anni fa, in una presenza umana, la Chiesa, la compagnia di coloro che Egli assimila a sé, il Suo corpo, il segno e sacramento della Sua presenza. Leggendo questo libro, uno rimane stupefatto e pieno di ammirazione davanti a un rapporto così personale e profondo con Gesù, e gli sembra che sia difficile per lui. Quando dicono a don Giussani: «Che coraggio bisogna avere per dire sì a Cristo!» oppure: «A me nasce questa obiezione: si vede che don Giussani ama Gesù e io invece non lo amo allo stesso modo». Lui risponde: «Perché opponete quello che voi non avreste a quel che io avrei? Io ho questo sì e basta, e a voi non costerebbe neanche una virgola di più di quello che costa a me… Dire sì a Gesù. Se io prevedessi domani di offenderlo mille volte, lo dico». Quasi testualmente, Teresa di Lisieux ripete la stessa cosa. «Lo dico, perché se non dicessi “sì” a Gesù non potrei dir “sì” alle stelle del cielo o ai capelli, ai vostri capelli…». Non c’è niente di più semplice: «Io non lo so com’è, non so come sia: so che io debbo dire “sì”. Non posso non dirlo». E ragionevolmente, ossia, ogni momento Giussani nella riflessione di questo libro ricorre alla ragionevolezza dell’esperienza.



Si tratta di iniziare a dire Tu a Cristo, e dirglielo spesso. È impossibile desiderarlo senza chiederlo. E se uno incomincia a chiederlo, allora incomincia a cambiare. D’altra parte, se uno lo chiede è perché nel profondo del suo essere si sente attratto, chiamato, guardato, atteso. La esperienza di Agostino: là dal fondo dell’essere qualcosa mi attrae verso qualcuno che mi ha cercato per primo, mi sta aspettando per primo, è il fiore di mandorlo dei profeti, il primo che fiorisce in primavera. È quella qualità che ha Dio e che mi permetterò di definire con una parola di Buenos Aires: Dio, Gesù Cristo in questo caso, sempre ci primerea, ci anticipa. Quando arriviamo, ci stava già aspettando.
Colui che incontra Gesù Cristo sente l’impulso di testimoniarlo o di dar testimonianza di quello che ha incontrato, e questa è la vocazione cristiana: andare e dare testimonianza. Non si può convincere nessuno. L’incontro accade. Che Dio esiste lo si può provare, però attraverso la via del convincimento mai potrai ottenere che qualcuno incontri Dio. Questo è pura grazia. Pura grazia. Nella storia, da quando è iniziata fino al giorno d’oggi, sempre primerea la grazia, sempre viene prima la grazia, poi viene tutto il resto.

(da Tracce n.6, Giugno 2001)

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