“Miserando atque eligendo”. La frase latina, tratta dal Vangelo di Matteo, è il motto episcopale di Jorge Mario Bergoglio e descrive l’atteggiamento di Gesù verso il pubblicano che “guardò con misericordia e scelse”. Non è però detto che, una volta eletto Pontefice, il cardinale scelga di mantenerlo: la frase proviene dall’Homilia 21 di san Beda il Venerabile, proposta dalla liturgia nell’Ufficio delle letture il 21 settembre. “Vidit ergo Iesus publicanum, et quia miserando atque eligendo vidit, ait illi, Sequere me. Sequere autem dixit imitare. Sequere dixit non tam incessu pedum, quam executione morum”. Ecco quindi la traduzione: “Gesù vide un uomo, chiamato Matteo, seduto al banco delle imposte, e gli disse: «Seguimi» (Mt 9, 9). Vide non tanto con lo sguardo degli occhi del corpo, quanto con quello della bontà interiore. Vide un pubblicano e, siccome lo guardò con sentimento di amore e lo scelse, gli disse: «Seguimi». Gli disse «Seguimi», cioè imitami. Seguimi, disse, non tanto col movimento dei piedi, quanto con la pratica della vita. Infatti «chi dice di dimorare in Cristo, deve comportarsi come lui si è comportato» (1 Gv 2, 6)”. Diverso era invece per Benedetto XVI, nel cui stemma non compariva alcun motto, come del resto anche in quelli dei suoi immediati predecessori. Una volta eletto vescovo, Ratzinger scelse come motto episcopale due parole tratte dalla Terza lettera di Giovanni, “Cooperatores Veritatis”. Al contrario di Giovanni Paolo II, che una volta divenuto Papa richiamò esplicitamente il motto scelto da vescovo (“Totus tuus”), Benedetto XVI non citò mai da Pontefice il motto Cooperatores veritatis. Come detto, “Totus Tuus” è stato il motto apostolico di Giovanni Paolo II, il cui significato è “tutto tuo” ed esprime la sua forte devozione mariana e la venerazione per san Luigi Maria Grignion de Montfort. All’interno del volume “Varcare la soglia della speranza”, il Pontefice sottolinea che non si tratta solamente di un’espressione di pietà, perché quelle parole sono profondamente radicate nel mistero della Santissima Trinità. Il testo completo della preghiera da cui il motto è tratto recita: “Totus tuus ego sum, et omnia mea tua sunt. […] Accipio te in mea omnia, praebe mihi cor tuum, o Maria” (“Sono tutto tuo, e tutto ciò che è mio è tuo. […] Ti accolgo in tutto me stesso, offrimi il cuore tuo, Maria). Ricordiamo poi anche il motto di Giovanni Paolo I, una sola parola: “Humilitas”. Fu proprio Benedetto XVI, ricordando durante l’Angelus il 30esimo anniversario della morte di Albino Luciani, a dire che quella parola “sintetizza l’essenziale della vita cristiana e indica l’indispensabile virtù di chi, nella Chiesa, è chiamato al servizio dell’autorità”. “In una delle quattro Udienze generali tenute durante il suo brevissimo pontificato – ha poi aggiunto Benedetto XVI citando le parole di Giovanni Paolo I – disse tra l’altro, con quel tono familiare che lo contraddistingueva: ‘Mi limito a raccomandare una virtù, tanto cara al Signore: ha detto: imparate da me che sono mite e umile di cuore … Anche se avete fatto delle grandi cose, dite: siamo servi inutili’. E osservò: ‘Invece la tendenza, in noi tutti, è piuttosto al contrario: mettersi in mostra’ (Insegnamenti di Giovanni Paolo I, p. 51-52). L’umiltà può essere considerata il suo testamento spirituale. Grazie proprio a questa sua virtù, bastarono 33 giorni perché Papa Luciani entrasse nel cuore della gente”. Infine ricordiamo il motto del Pontefice precedente, Paolo VI, “In nomine Domini”: scegliendo di procedere “nel nome del Signore”, il Papa sottolineava che senza di Lui nulla era possibile. Anche Jorge Mario Bergoglio, attuale Pontefice, ha scelto di iniziare il suo cammino con la recita del “Padre Nostro”, la preghiera che Gesù insegnò ai suoi discepoli. In questo modo, quindi, si è messo in cammino “nel suo nome”, proprio come fece Paolo VI.



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