Abbiamo visto scendere il silenzio su piazza San Pietro dopo l’invito che Francesco, il Santo Padre, ha rivolto alla folla raccolta, plaudente e commossa, a pregare per lui affinché quella preghiera rivolta a Dio si riversasse sul nuovo Vescovo di Roma. In quell’esatto momento abbiamo compreso che qualcosa di nuovo era accaduto. Lo Spirito Santo si era rivelato come non mai.



Chi ha conosciuto il cardinal Bergoglio a Buenos Aires lo ricorda prima come professore dell’Università del San Salvador, per molti anni un punto fondamentale di resistenza alla dittatura e di protezione dei deboli, degli umili, degli infermi e degli intellettuali dalla repressione della giunta militare. Poi lo ricorda, come pastore di un’immensa città, recarsi nelle “villas miseria”, le favelas argentine dove arrivavano gli immigrati da Bolivia e Paraguay, e ancora come arcivescovo di Buenos Aires, città che egli percorreva mai con l’auto, ma in autobus, mescolandosi tra la folla, tra i poveri, i lavoratori, tra coloro verso i quali rappresentava la presenza di un Cristo che non voleva arrendersi ai grandi problemi che l’Argentina presentava. Un tempo il Paese più ricco del mondo, successivamente piegato dalla dittatura, dall’iperinflazione e dalle politiche dissennate dei governi che si sono via via succeduti.



Bergoglio non è mai stato un “principe della Chiesa”, ovvero lo è stato fino in fondo secondo il dettato della Chiesa primitiva. Come dice Escrivá, egli si è sempre comportato come se fosse un primo cristiano, con l’obiettivo quindi di santificare il suo lavoro di pastore e con esso tutto il popolo argentino e sudamericano.

Ebbene, quando abbiamo sentito quel silenzio scendere su piazza San Pietro, abbiamo capito che qualcosa di nuovo accadeva, che c’era un pastore che si rivolgeva a un popolo di Dio adulto e responsabile che chiedeva di unirsi a lui nella preghiera.

Anche le parole pronunciate dal famoso balcone sono significative. Egli ha sottolineato che la Chiesa Cattolica Apostolica Romana è la Chiesa di tutte le Chiese, che prega per tutte e con tutte le Chiese. Questo Papa, quindi, è una speranza e nello stesso tempo una certezza affinché si possa aprire per la Chiesa un nuovo capitolo di evangelizzazione, in Europa e nel mondo.



Il soffio meraviglioso che proviene dal cristianesimo sudamericano, pieno di contrasti e di conflitti e che ha superato la passione terribile della teologia della liberazione per incarnarsi in un apostolato più libero e consapevole, quel soffio di liberazione che proviene dalle periferie sudamericane giungerà sicuramente con questo Papa fino all’Europa, al mondo e all’Occidente, divenuto ormai, come ci ha insegnato Benedetto XVI, terra di missione.

Molti attendevano un nuovo Papa che provenisse dall’Asia o dall’Africa. Lo Spirito Santo ha voluto che questo Papa venisse invece dal Sudamerica, strumento prodigioso dell’Europa scagliato tra l’Oceano Atlantico e l’Oceano Pacifico. In questo vi è un ulteriore segno provvidenziale di quella che deve essere la missione della Chiesa, quella di raccogliere tutto l’immenso patrimonio teologico accumulato dalle Chiese europee (e di cui Papa Ratzinger è stato un fantastico testimone) e di rinvigorirlo con l’apporto pastorale della Chiesa dei poveri e degli ultimi dei Paesi in via di sviluppo o in decadenza. Poi, su queste basi ed elaborando una nuova teologia all’altezza dei tempi, confrontarsi con la vera sfida che viene dall’Asia.

La vera sfida, infatti, non viene dalle religioni del Libro, il giudaismo, il cristianesimo e l’islamismo, ma proviene dall’incontro del monoteismo con l’Asia. Per questo motivo la nomina di Francesco rappresenta anche una grande scommessa e un grande impegno teologico per rinnovare, dalle basi del rapporto tra Fede e Ragione, l’esistenza stessa della Chiesa come espressione di una religione teologicamente superiore.

In questo senso, la commozione che abbiamo provato ieri sera è qualcosa di più di una profonda aderenza al messaggio dello Spirito Santo. E’ anche una speranza, perché saremo meno soli in questo mondo.

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